verdi collineSi parla sempre di libri che si sono amati, libri che ci hanno insegnato, fatto compagnia, strappato lacrime e sorrisi. Volevo aggiungere una cosa a questa lista.

Vi è mai capitato che un libro vi abbia deluso?

Non intendo dire un libro che credevate interessante perché magari l’autore era una vostra vecchia conoscenza per aver già frequentato altre sue pagine.

Non dico neppure un libro di cui avete sentito parlare, o uno di quelli che un’amica vi ha consigliato. O ancora non uno di quei libri che ti parlano già dal titolo e la cui copertina vi chiama sussurrandovi o gridando le sue promesse dallo scaffale.

E quelli che dopo appena due pagine sai già perfettamente da che parte andrà a parare l’autore? Hai già scoperto l’assassino, già sai chi incontrerà il protagonista appena girato l’angolo, la trama ti porterà inevitabilmente all’unico finale possibile e nonostante tutto ti ostini a voler arrivare alla fine? Non parlo neppure di questi.

Ho in mente invece di un libro che magari avete letto anni fa, che allora vi aveva stregato, mentre ripreso tra le mani anni dopo, anche molti anni dopo, vi ha deluso, tradito e forse anche ingannato e lo avete abbandonato dopo appena poche pagine.

Il caso in questione che mi riguarda è “Verdi colline d’Africa” di Ernest Hemingway.

Per tutti coloro i quali non conoscano il libro, brevemente dirò che ufficialmente si tratta di un romanzo, anche se scritto in forma di diario, una cronaca che racconta del primo safari cui partecipò lo scrittore americano e sua moglie, credo negli anni trenta. Si dipana tra le descrizioni della caccia e del paesaggio keniano. A sera, intorno al fuoco dell’accampamento, si alternano i racconti degli episodi accaduti nel corso della battuta giornaliera, alle digressioni sulla letteratura americana.

A questo proposito ricordo l’orgoglio di aver letto “Le avventure di Huclkleberry Finn” di Mark Twain, quando lessi che Hemingway considerava tutta la letteratura americana moderna derivante da lì, per altro senza capirne bene perché, ma d’altra parte ero alle medie e non si può pretendere tanto da un adolescente di undici o dodici anni.

Rimasi letteralmente rapito dalla descrizione dei luoghi e credo sia stato tra quelle righe che mi sono reso conto per la prima volta della forza della scrittura, cioè il potere che questa ha di trasportarti nello spazio e nel tempo.

Insomma, la vera quarta dimensione è la parola scritta.

Non quella parlata, altrettanto importante, ma che presuppone un atteggiamento passivo dell’ascoltatore, avvinto dalla trama del racconto, ma anche dalla gradevolezza della voce, dal tono utilizzato, dalla cadenza delle pause.

La parola scritta invece non ti molla, ti prende per mano o ti tira per il collo e pretende che tu la segua, per farti divorare un tomo di mille pagine in due giorni o per lasciare che ti si consumino gli occhi nel leggere e rileggere un pamphlet di poche pagine…va be’ sto divagando.

Accade che molti anni dopo, mi trovo di nuovo tra le mani “Verdi colline d’Africa” e solo a scriverne il titolo si rinnovano mio malgrado le emozioni che quelle pagine erano state capaci di suscitare in me.

Pianto tutto lì e mi rimetto a leggerlo.

Solo che già dopo poche pagine c’era qualcosa non andava.

Riconoscevo le parole, i luoghi e i personaggi che ci si muovevano in mezzo, ricordavo le descrizioni così suggestive, però… però accidenti!

Dov’era la scintilla che mi aspettavo sarebbe di nuovo scaturita?

Come mai non riuscivo a ingranare tanto che neppure arrivavo in fondo ai periodi più brevi che già volevo saltare le pagine alla ricerca dei ricordi che speravo il testo mi suscitasse, più che del testo stesso.

Trovavo insopportabili quella coppia di americani che trascorre dei mesi in Africa, assolda degli indigeni pagandoli quattro soldi e se ne va in giro come niente fosse a sparare a leoni, elefanti, bufali e gnu.

Ora in tutto questo forse un insegnamento potrei anche vederlo, per addolcire la delusione che mi diede il ritrovare un libro anni prima così importante, cioè il fatto che col tempo si cambia, cambiano i gusti ed è abbastanza normale che certi entusiasmi se ne vadano magari sostituiti da altri e che si finisca col trovare addirittura fastidioso ciò che si era tanto amato. Un gradino in più nella scalata della crescita.

Tuttavia questa considerazione non mi ha per niente consolato né risarcito e adopero questo verbo per sottolineare quello che io considero un danno.

Non sono riuscito a perdonargliela a Hemingway la ferita subita, al pari di uno dei tanti animali che finirono impagliati a casa dello scrittore. È ancora lì tra noi due e confesserò che, se prima mi era dispiaciuto molto l’aver immaginato questo bell’uomo che si spara nella sua residenza tra le montagne dell’Idaho, dopo… beh…

Vedete dove ci conducono i libri?

Buone letture a tutti.