Ho appena sentito Sandro che mi ha dato la notizia.
Non so fare le condoglianze, non mi è mai riuscito, mi è sempre sembrata una formula di rito che andava bene per chiunque la pronunciasse, adatta indipendentemente per chiunque fosse rivolta e, sopratutto, dedicata allo stesso modo a chiunque se ne fosse appena andato. Chiunque poteva dirla, chiunque te lo avrà detto in questi giorni.
A me vengono meglio altre parole, meglio ancora se le posso scrivere invece che dire, perché credo di riuscire a metterci tutto il sentimento che ci vuole in questi casi e che va oltre il dire la parola condoglianze.
Il primo ricordo che ho di Fabrizio è legato a un’estate della fine degli anni settanta.
Noi a bighellonare dalla mattina alla sera in sede degli sbandieratori e lui di pomeriggio nelle viuzze di Cittannova a dipingere dal vero con gli acquerelli.
Quel pomeriggio era più o meno all’altezza della macelleria del Cappelli, sull’altro lato della strada, che disegnava la casa del Biondi e il giardino lì davanti, quello stesso dove anni dopo avrebbero messo la sua pecora.
Mi sembra di ricordare che eravamo io, Roberto Testi, Paolo Paradisi e Claudio Marchi, in piedi dietro di lui a guardare, io con l’aria da saputello perché già da un po’ disegnavo e a settembre sarei andato a Siena all’istituto d’Arte; insomma, quello lì seduto era uno dei miei, anzi: io sarei diventato uno dei suoi.
“Bello!” disse Roberto Testi “sembra una foto”
“Bimbo, un lo sai che a un pittore un gli si deve mai di’ che sembra una foto? L’offendi”
Gli altri si misero a ridere prendendolo in giro, mentre io cercai di assumere l’aria complice di chi con quel tipo che dipingeva aveva da spartire delle cose, dei segreti, una professione! Perché quella regola era come se la sapessi già, come se facesse parte del mio patrimonio genetico, come fossi una specie un predestinato.
In comune invece avevamo solo un passato da sbandieratore lui, e un futuro da porta insegna nella Compagnia io, che solo successivamente sarebbe diventato sbandieratore a tutti gli effetti.
Iniziai a frequentarlo e cercai di diventare suo amico. Volevo imparare da lui e cominciai anch’io ad adoperare gli acquerelli seguendo i suggerimenti che mi dava quando il sabato o la domenica, tornado a casa da Siena, andavo a cercarlo.
Rimasi impressionato dal quantitativo di libri sull’arte, su molti grandi pittori e su tutte le tecniche artistiche, che possedeva e mi fece innamorare dello stile Liberty.
Tempo dopo, quando prese in affitto il locale in via Goldoni davanti a “Foto Bruno” per esporre i propri dipinti, una specie di mostra permanente, per un’estate tutte le mattine ero lì a tenergli aperta bottega.
Leggevo, disegnavo, raccontavo due cose ai visitatori e fu un periodo bellissimo perché finalmente anch’io ero un “artista”.
Fabrizio mi regalò una confezione di acquerelli, con la scatola in metallo e le pasticche dei colori.
La scatola ce l’ho ancora in casa e solo a settembre ho dato a Leonardo il permesso di usarla per scuola.
Ora tutto questo forse lui neppure se lo sarà più ricordato, ma non è questo l’importante.
Non ho così tanto da dire su Fabrizio, gli amici veri e le persone che lo hanno conosciuto da sempre avranno mille ricordi da raccontare e rimpiangere.
Quello che però per me è veramente importante è quanto un po’ di frequentazione e alcuni episodi che ci videro (anche casualmente) insieme, abbiano influenzato un ragazzino a partire dai quindici anni e per almeno gli altri cinque o sei anni successivi e se sono così oggi è anche un po’ colpa sua e questo non me lo scorderò mai.
Grazie Fabrizio!