George_Washington_1In questi giorni i miei genitori sono a Bologna; domani mio padre ha una visita a Modena da un ortopedico, così hanno approfittato del fine settimana per stare un po’ quassù.

Settantaquattro  anni mamma e settantacinque babbo, lui è diabetico da almeno trentatré o trentaquattro anni e oggi ha avuto una crisi ipoglicemica,  il valore dello zucchero nel sangue è improvvisamente sceso al di sotto della soglia di guardia. Queste situazioni accadono anche ai non diabetici (quante volte ci appelliamo al calo di zuccheri per giustificare il calo della palpebra di metà mattinata o del primo pomeriggio)  e sono annunciate da una serie di sintomi quali debolezza, tremore, sudori freddi.

A un diabetico che va soggetto frequentemente a crisi di questo tipo, capita che il fisico si assuefaccia e non scateni più questi segnali di attenzione. La carenza di zucchero passa inosservata e va dritta a incidere ad un livello superiore interessando la corteccia cerebrale. Il cervello vive fondamentalmente di zucchero, mi ha spiegato un dottore, e un’improvvisa carenza comporta il subentrare di stati confusionali, smarrimento, difficoltà nel parlare e nel vedere…

Suona il campanello mamma che dalle scale mi chiama e mi dice di scendere che babbo non si sente bene.

Corro giù e lui è sulla panchina davanti casa, mi siedo e cerco di capire cosa succede, cosa si sente. Niente, risponde lui, mi sento bene.

Insisto un po’ pensando a una reticenza dettata più dall’imbarazzo della situazione che altro. Stenta a leggere l’insegna della farmacia comunale sotto casa mia e poi mi dice “ma qui è dietro casa di Rudy, siamo arrivati da un altro giro, non siamo davanti”…

Mamma dopo mi ha detto che episodi simili erano già capitati in almeno altre due circostanze, ma io non avevo mai assistito (io sto qui a Bologna, loro a Massa Marittima e insomma e frequentazioni sono abbastanza sporadiche).

Appena ho capito che non sapeva cosa stava dicendo lo avrei stretto forte forte come non ho mai fatto. Allora gli ho messo un braccio intorno alle spalle e una mano su una gamba cercando qualcosa nel suo sguardo smarrito. Ora stiamo un po’ qui e tra poco proviamo a salire in casa, va bene?

Gli ho raccontato dei vari tentativi di rapina subiti dalla farmacia nel corso degli anni che li hanno costretti a tenere una guardia giurata fuori dell’ingresso, insomma due sciocchezze per fare della conversazione, le prime cose che mi sono venute, per fa passare quegli attimi mentre cercavo di pensare a cosa sarebbe stato più giusto fare di lì a poco.

Poi ci siamo alzati e sorreggendolo l’ho accompagnato su in casa, lungo le due rampe da lì al primo piano.

Breve consultazione con mia zia Carla (l’infermiera di casa) e decisione di portarlo al Maggiore per un controllo. Ha cercato di opporsi ma con poca convinzione.

In fila a qualche metro da lui lo guardavo con la sua aria dispiaciuta per il disturbo che stava dando (dai babbo, babbo!) e poi è stato un attimo pensare a tutte le volte in cui ero io al suo posto e lui nel mio, come quella volta dal dentista che mi dovevano togliere un dente da latte che non voleva staccarsi. L’ernia, le tonsille, dall’ortopedico per la sospetta frattura al menisco, al pronto soccorso per il taglio in testa, oppure quando da Massa corse a Firenze dove studiavo per portarmi all’ospedale di  Careggi per via di un’inondazione di sangue al naso che proprio non smetteva più…

Solita prassi, veloce in verità nonostante un po’ di fila, e ricovero per questa notte. Ciabatte, pigiamo, la bottiglia dell’acqua…

Proprio l’altro giorno dicevo con una mia amica che alcuni, come me, non smetteranno mai di essere figli di qualcuno.

Invece oggi al Pronto Soccorso dell’Ospedale Maggiore di Bologna, sono diventato padre di mio padre e questo mi ha fatto malissimo. Molto più male di quel dente tolto e di quando mi cautelizzarono la vena da cui colava il sangue dal naso. Molto più male delle tonsille e del menisco che quando cambia tempo ancora oggi un po’ di fastidio me lo da.