Nonna il 21 febbraio 20126 marzo

Questa sera intorno alle 18 e 30 mia nonna Jolanda dopo 98 anni ha deciso che era venuto il momento per andarsene.

“Questa è una malattia che non si guarisce, tocca stare qui e aspettare che venga e ci porti via” mi aveva detto il 21 febbraio.

È rimasta lucida fino in fondo, forse anche serena, senza mai lamentarsi dal 17 gennaio quando subì un intervento chirurgico fino ad oggi, tutto il giorno a letto ormai da qualche giorno, da quando farsi spostare sulla poltrona era diventato un peso. Né ieri né oggi ha mangiato qualcosa e mia zia Carla, sua figlia, gli ha detto “mamma, lasciati andare…”.

“Se non mi sveglio non m’importa, tanto la mia vita l’ho vissuta bene finora e ora sono stanca…” disse mentre firmava da se tutti i documenti prima dell’operazione, davanti ai medici che facevano battute sul fatto che all’anagrafe si fossero sbagliati di almeno dieci anni nel segnare la sua data di nascita.

Si è spenta lentamente, spero seguendo i suoi ricordi, forse dei bei pensieri, forse rivolta già verso un altro orizzonte da quello che vedeva dalla finestra di quella che fu la mia cameretta, dove ha trascorso le sue ultime giornate in poltrona, la finestra che da sul balcone dalla quale, passate la nevicate dei primi di febbraio, è riuscita almeno in parte a godere delle successive belle giornate tiepide di sole.

Sono felice che gli sia stato concesso dalla sorte di trascorrere i suoi ultimi giorni, come da sempre, ancora a casa sua tra le persone a lei care, mamma e zia Carla prime fra tutte, ma anche con le visite di amici di famiglia; “…lo sai? la mia seconda mamma…” mi ha detto Vanna, la nostra vicina del piano terra, con gli occhi gonfi da un pianto recente.

Appena sono arrivato qui da Bologna, entrato in casa, quasi senza salutare nessuno ho appoggiato la borsa nell’ingresso e sono andato in camera sua.

Ho fatto per entrare, l’ho vista ricomposta sul letto, ma non ce l’ho fatta ad andare più avanti e sono rimasto appoggiato allo stipite piangendo.

Un attimo dopo sono entrate anche mamma e zia e ci siamo abbracciati tutti e tre, stringendoci forte tra le lacrime.

Sono riuscito  sedermi accanto a nonna e le ho preso la mano ormai fredda, quella mano che riusciva a non scottarsi con pentole a cento gradi, quella mano che riusciva a far germogliare anche uno stecco…

Ho provato a pensare che lei non fosse più lì e che invece se ne fosse andata dovunque avesse desiderato, però quel corpo e quelle sembianze continuavano a negarlo e le lacrime tornavano prepotenti.

A letto tardi, dopo aver scambiato quattro chiacchiere con zia Carla, seduta in poltrona accanto al letto di nonna, che mi raccontava degli ultimi giorni, degli ultimi pensieri per me e Fabio, per Marco, per Leonardo e per Jacopo.

Di come cercassero di nutrirla nonostante la sua poca voglia e quando non ha voluto più, due giorni fa, hanno smesso di farlo con la comune consapevolezza che ormai stava per arrivare il momento…