“Ora ci vorrà un po’ per abituarsi a questa camera vuota…” dice mamma.
Con lei e zia Carla, ancora con le giacche indosso appena rientrati dal funerale di nonna, ce ne stiamo un attimo lì in piedi a guardare quello spazio abbandonato.
Il suo letto matrimoniale aveva lasciato il posto al lettino dato dall’ASL, con le sponde e il materasso anti-decubito.
Quando hanno portato la bara abbiamo smontato anche quello e lasciato lo spazio libero al catafalco su cui appoggiarla. Adesso la stanza è rimasta con i comodini, il cassettone, l’armadio e con quel vuoto nel mezzo, che è un po’ la rappresentazione del vuoto che ci ha lasciato.
Seduti in cucina la conversazione è un po’ sopra le righe, il tono alto, qualche sorriso sforzato che segue una battuta, si parla di niente; poi un improvviso silenzio che dura un paio di secondi, s’incrociano gli sguardi e si ricomincia a parlare per riempire quel vuoto.
Il momento peggiore oggi è stato quando stavano per chiudere la bara.
“Se volete noi saremo pronti…” va bene, dico, un attimo solo. Chiamo zia che era in cucina con degli amici per farla venire di qua per un ultimo saluto; abbraccio mamma.
Di nuovo piangiamo insieme, io un po’ meno in verità, più che altro cerco di tenermi strette quelle due donnine, le carezzo e le bacio.
Qualche istante, zia si scosta e si avvicina alla bara per tirare su il velo per coprire nonna. Mi avvicino anch’io e insieme le ripieghiamo dentro il rivestimento color avorio della bara, lasciandole scoperto il viso. Un’ultima carezza, ancora delle lacrime e usciamo.
Dietro la porta di camera chiusa si sente l’avvitatore che serra il coperchio e adesso davvero nonna non è definitivamente più là, c’è solo quella cassa di legno e dentro non ha più importanza cosa si porteranno via, non piango più, nonna è davvero da un’altra parte, non la sballotteranno giù per le scale perché lei non è più lì dentro, non la metteranno dentro quella fossa perché lì dentro caleranno solo un involucro di legno che contiene un altro involucro che era appartenuto a nonna, nient’altro.
Non so se questo è credere in un’altra vita oppure cosa.
Di certo quell’energia che l’animava si è trasformata in qualcos’altro, un colpo di vento, un raggio di sole, uno starnuto, non ha importanza… e quell’involucro umano che le era appartenuto è giusto si trasformi in humus, che arricchisca la terra perché la materia di una persona buona, e nonna Jolanda era una persona buona, fa del bene alla terra e qualcosa farà attecchire, crescere e sbocciare anche da là sotto.
E ora credo di sapere perché in questi giorni non o mai usato la parola “morte”.
Non per negare l’evidenza dei fatti e cioè che non rivedrò mai più nonna, quanto invece perché questi tre giorni sono serviti ad avvicinarmi all’idea che, molto semplicemente, la morte non esiste.
Esiste questo passaggio, questa porta che siamo abituati a chiamare morte, quasi sempre straziante, che arriva spesso al termine di un percorso doloroso fatto di malattia oppure attraverso un botto in autostrada, ma è solo un passaggio, una trasformazione verso qualcosa che non conosciamo e che non possiamo definire come migliore o peggiore di quello che lasciamo perché non ci sono parole per fare un paragone né immagini sufficienti a raccontarlo; è come quello che immagino essere per un cieco dalla nascita l’impossibilità di descrivere un colore.
È questo quello che mi ha lasciato nonna, il primo di due regali.
Stanotte per un attimo l’ho sognata.
Lascio zia Carla in poltrona accanto a lei. Torno un po’ più tardi e zia non è più al suo posto e nel suo letto nonna sembra muoversi, come se spostasse la gambe tanto che per un attimo credo stia solo dormando, ma un attimo dopo accanto a lei tra le lenzuola appare il viso di Jacopo, era lui che nel sonno, girandosi, muoveva le coperte.
Dico a zia Carla “ma ti sembra? lasciarlo lì da solo accanto a nonna!”
“Lascia stare, che non gli fa male…” mi risponde zia in tono rassicurante.
Tutto qui.
Non so cosa intendesse dire, se a non fargli male era nonna oppure la troppa vicinanza con la morte, l’innocuo prendersi confidenza con un corpo non più vivo, ma non ha molta importanza, perché mi va bene comunque con tutte e due le interpretazioni.
Passato l’iniziale turbamento, appena sveglio ho visto quell’immagine sotto una luce diversa e sopratutto piena di una dolcezza infinita, ho capito che era il passaggio del testimone dalla più vecchia della famiglia che se ne stava andando al più piccolo che ha ancora tutto da fare e quel frammento di sogno è il secondo regalo.