IMG_1059Di questa piccola storia fanno parte diversi personaggi:

personaggi primari, con ruoli evidentemente fondamentali, ai quali finirete inevitabilmente con l’attaccarvi con affezionata premura;

personaggi secondari, con ruoli comprensibilmente trascurabili, che finiremo col perdere di vista senza grossi rimpianti.

Tutti personaggi che di qui a poco andremo a conoscere.

Fanno da sfondo a questa breve storia diversi luoghi, che di qui a poco andremo a visitare.

Per questa storia, che è una storia un po’ così, non c’è una conclusione vera e propria; solo un inizio.

Ma di questo ne parleremo più avanti.

La Dama della Città Murata, ovvero delle Torri di Bologna, è assolutamente devota a Santa Lucia, sua Patrona e protettrice della quale custodisce numerose reliquie, tra cui spiccano per rara particolarità un modello di “capsulæ cum vitrum ” e un’ampolla finemente lavorata contenente alcune rarissime e preziosissime gocce del miracoloso collirio “Stilla”.

Vive in una casa necessariamente irraggiungibile a meno di possedere una pianta dettagliata del luogo dove questa fu edificata, pianta che lei neppure si sogna di allegare agli inviti.

La sua è una dimora asetticamente linda, che dovrebbero andarci a fare le foto quelli delle riviste specializzate in arredamento. Arredata con gusto, quel gusto coltivato grazie alla frequentazione delle numerose riviste di cui sopra, gusto incoraggiato e favorito da un reddito mensile familiare quanto meno consistente.

L’Elfo di Leningrado (ma c’è chi dice che in realtà non venga da quella città, bensì dal settimo pianeta del sistema solare) vive tra la ferrovia e un campo coltivato a papaveri che quando tira forte il vento, verso la metà di giugno, l’aria intorno si fa tutta rossa.

È in quelle occasioni, con tutto quel grido di colore in giro, che ti tornano in mente quei bei Festival dell’Unità di tanti anni fa, oppure i cori negli ultimi posti dell’autobus, anche quelli gridati, durante le gite scolastiche, a cantare i Nomadi  e Guccini e questa bassa Padana col cuore un po’ meno verde di un tempo ma ancora abbastanza rosso.

La Bambina dagli occhi di nocciola abita in un castello in cima alle colline e ha delle gambe davvero ben allenate agli ostacoli della vita, gambe che potrebbero portarla in un solo istante ovunque, se solo lei lo volesse.

Di mestiere (ma non si può parlare di mestiere vero e proprio, più che altro gestisce il suo tempo e sa farlo con grande disinvoltura) di mestiere, dicevo, fa la cercatrice d’oro: raccoglie quei bei sassi dorati dovunque questi possano trovarsi e ogni volta che ne porta alla luce uno più bello, butta via quello trovato poco prima, così che nelle mani non ha mai più di due pepite per volta e solo per pochi istanti, giusto il tempo di confrontarle e scegliere la migliore. E non sbaglia un colpo, sapete?

Queste tre signorine, dunque, vivono in luoghi separati, ma in assoluta simbiosi l’una con le altre, tanto che, se per un motivo qualsiasi, una delle tre non c’é, alle altre due è come avessero rasato i capelli a zero, asportato un rene o amputato un arto.

La prima si sposta col fulmine.

La seconda si sposta col vento.

La terza attraverso i cavi delle linee telefoniche.

Quando non ci sono fulmini, non tira un alito di vento e le linee sono tutte intasate, basta solo che una delle tre schiocchi le dita, che si scatenano bufere, i tornado scoperchiano le case e la linea da il segnale di libero e la tariffa interurbana, docilmente, cala a pochissimi centesimo al minuto.

In questa piccola storia compaiono diversi personaggi, ecco a voi il prossimo.

Il Tipo vestito in modo buffo è uno spilungone un po’ sgraziato e ricurvo su se stesso; ha più anni di quelli che dimostra e ne dimostra davvero meno di quelli che ha, nonostante i capelli grigi e la barbetta brizzolata; ci tiene molto alle apparenze questo personaggio.

Il Tipo vestito in modo buffo (difatti indossa una calzamaglia, una specie di kilt e le maniche a sbuffo) tiene sempre in mano una bandiera mezza gialla e mezza blu.

La bandiera più di una volta gli servì per farsi notare, anche da lontano; adesso la usa solo per comunicare con gli altri e dire loro che tempo fa:

se la sventola a destra tira vento di libeccio, se la sventola a sinistra tira vento di tramontana, se la lancia in alto niente vento, il mare é piatto e sarà una buona giornata di pesca, per mari e per terre.

Il Tipo vestito in modo buffo vive nel punto esatto in cui s’incrociano quattro vie:

la salita detta di Schiantapetto, la strada di Storcicoda, la Curva del Vento e la via che porta al mare.

Il Tipo vestito in modo buffo, di mestiere fa l’intrattenitore: racconta quelli che lui ama spacciare per gustosi episodi di vita vissuta; il più delle volte, a onore del vero, inventati di sana pianta o comunque gonfiati a dismisura, specie per quanto riguarda le cause che hanno generato quegli episodi e gli effetti che ne sono poi derivati.

A questo punto, com’è logico aspettarsi, neppure lui sa più dove finisce la realtà e inizia la finzione dei suoi racconti.

Molti sono disposti a perdonare questo suo atteggiamento, che col passare del tempo é finito col diventare un vezzo, una sua nota caratteristica; la principale, dirò.

Il Tipo vestito in modo buffo, è solito esercitare il proprio mestiere agli angoli delle strade, forse perché così gli sembra di essere un po’ come a casa sua, né di qua né di là, nessun punto cardinale da onorare più degli altri, insomma.

Il Tipo vestito in modo buffo, non ama quelle strade lunghe lunghe, strette strette che quasi gli danno una sensazione come di claustrofobia, che non si capisce mai bene dove iniziano e non si vede mai fino in fondo dove vadano a finire, con dei numeri civici altissimi, seguiti poi da tanti a, b, c, primo, secondo, terzo…

Lui, in fondo in fondo, ama le certezze e per quanto paradossale possa sembrare, quale certezza maggiore di un bell’incrocio che porta in tutte le direzioni, un alibi perfetto per ogni scelta sbagliata o presuntuosamente azzardata egli possa fare?

Il Tipo vestito in modo buffo è una strana specie di ospite perenne di città e case che non sono mai state sue e mai lo diventeranno; in sostanza, né stanziale né nomade.

Ed ora, signore e signori, ecco a voi il Nostro Cattivo.

Come ogni cattivo, il Nostro Cattivo in realtà, è un timido introverso che recita una parte che, suo malgrado, la vita gli ha cucito addosso.

Ciò non toglie che poi lui ci abbia preso gusto, dopo l’aver scoperto come il vestito che si è trovato a indossare gli calzi a pennello.

Il Nostro Cattivo non subisce tutti gli sfavori che in giro si dice ci siano a recitare questo ruolo, per esempio non deve mai fare nessuna fila, oppure può mandare a quel paese chi vuole quando più gli va e ancora non ha mai dei conti in sospeso con la propria coscienza, e qui eviterò scialbi interrogativi sul genere: ma avrà una coscienza il Nostro Cattivo?

Il Nostro Cattivo solitamente veste in modo poco appariscente, passa praticamente inosservato e le cattiverie che è solito mettere in pratica sono le più varie e dimostrano quanto egli possa influire sulle nostre esistenze.

Vanno dai più semplici incidenti domestici (la scottatura col ferro da stiro, la ferita da taglio mentre pulisci la verdura, certi programmi televisivi nella prima mattina) alle più gravi calamità che possono colpire il genere umano (la fame nel mondo, il cancro, certi insediamenti residenziali in alcuni quartieri delle nostre città…).

Il Nostro Cattivo predilige le vittime ingenue, quelle che non sanno darsi un perché alla sua violenza gratuita.

Gode un mondo quando questi poverini, non vedendo più in là della punta del proprio naso per via di una certa genetica semplicità, si tormentano senza riuscire a trovare una spiegazione che giustifichi quanto loro accaduto.

Il Bell’uomo di Montebamboli, invece, non è un tipo cattivo, ma spesso cade vittima delle proprie elementari passioni, che poi è un po’ diventare cattivo.

Il Bell’uomo di Montebamboli, invece, conduce una vita eccessivamente tranquilla, al limite dello schivo, se vogliamo.

S’innamora con una facilità da record dell’ora sul chilometro da fermo al velodromo di Città del Messico.

Ma più che del soggetto vero e proprio di questo presunto amore, Il Bell’uomo di Montebamboli s’innamora dell’amore in quanto tale; dello stato d’animo che t’infonde, dell’appetito che ti passa e che ti torna apparentemente senza ragioni, del sole che non ti scotta ai quaranta all’ombra e del gelo che non ti ammazza ai meno ventidue e, perché no, degli ormoni di nuovo in fibrillazione come a diciott’anni, di nuovo dopo trent’anni.

E così lascia che la casa gli si riempia di polvere, che la barba gli cresca fuori misura, che i suoi vestiti si sporchino, che i suo peso cali di parecchi chili sotto il peso forma e tutto questo nella sua più completa distrazione, nella suo totale disinteresse in tutto ciò che sia altro che il suo innamoramento.

Il caso vuole che il Bell’uomo di Montebamboli incroci, lungo un vialetto della prima periferia, la Bambina dagli occhi di nocciola.

Rullo di tamburi e squilli di trombe: Turutum! turutum! Pepperepééé! Pepperepééé!

La bambina dagli occhi di nocciola rimane sopraffatta da quella visione, soggiogata da quello sguardo, sbaragliata dal suo sorriso a bocca chiusa, ammaliata dalla sua statura (quanto meno degna di nota) rassicurata dalla 24ore tipo Louis Vuitton (regalatagli da un parente in occasione del trentatreesimo compleanno, età alla quale, nella vita, qualcosa di buono si deve pur aver concluso e una 24ore di Louis Vuitton può dare un tono ad una carriera) 24ore che lascia immaginare frequenti consigli d’amministrazione e fatturati a molti zeri.

A cavallo, o per meglio dire, in qualche modo approssimativamente appesa a una leggera brezza imprestatole tempo addietro dalla Dama della Città Murata (ovvero delle Torri di Bologna), vola come una saetta al suo castello, si collega telefonicamente in modalità conferenza a tre (al costo di 1 centesimo al minuto in virtù del suo credito nei confronti della Telecom) e inizia a fare il resoconto:

“Elfo! Dama! Ho incontrato l’uomo della mia vita!”

“?”

“!”

“Ma si!”

“!”

“?”

“Solo poteste vederlo!

Solo poteste odorarlo!

Solo poteste toccarlo!

Solo poteste farvi abbracciare da tutta quell’aria che smuove al suo passaggio!”

“? !”

“! ?”

“Elfo, tutti i tuoi papaveri impallidirebbero!

Lui é… lui è la musica, lui è il vento, lui è il fulmine e molto probabilmente gode dei miei stessi privilegi telefonici nella bolletta bimestrale!”

“! ?”

“? !”

“E’ una fortezza, Dama, una torre come quella di Babele finalmente portata a compimento.

Se solo volesse con un’occhiata potrebbe pulirti tutti i vetri di casa dopo un temporale estivo a base di sabbia del Sahara, Dama mia!”

“…”

“…”

“Quanto prima gli comprerò un biglietto sul diretto delle otto e zero tre e me lo porto con me al mare in villeggiatura!”

La bambina dagli occhi di nocciola, a questo punto, iniziò a presentire, non senza nervosismo, che forse avrebbe dovuto dar fondo a tutte le proprie risorse, nel tentativo di conquistarsi le attenzioni, o anche solo la curiosità, del Bell’uomo di Montebamboli.

“Cosa m’invento, cosa m’invento? Dovrò per forza ricorrere a qualche trucco” si diceva preoccupata, non intuendo neppure di lontano la totale arrendevolezza del soggetto, aspetto che avrebbe reso superfluo qualunque strategia lei avesse messo in pratica.

Certi espedienti di collaudato effetto.

Giochi di prestigio, che gli riescono così bene.

I vestiti più belli.

Gli aromi più intensi.

Sfoggio di cultura e dimestichezza della vita.

Forse qualche filtro d’amore, ma solo in ultima analisi.

Poi, quando fu il giorno d’incontrarlo di nuovo, gli si avvicinò, e guardandolo dritto negli occhi, con i suoi begli occhi di nocciola, fece solo uscire un soffio dalle labbra:

“Scusami, ti sembrerò magari inopportuna, ma guarda che io ti amo…”

Niente giochi di prestigio, niente fuochi d’artificio.

Nessun clamore, nessun filtro d’amore.

Silenzio.

Le mani che si serrano, con un po’ d’esitazione, le labbra di lui che le sfiorano la guancia sinistra …

Il sole che si fa sentire, da dietro l’ombra delle foglie.

Cip! Cip! tra i rami e qualche singolo passante, inconsapevole.

… …

Era il 28 di agosto, La bambina dagli occhi di nocciola e Bell’uomo di Montebamboli rimasero così per tre sconfinati minuti.

Centottanta inesauribili secondi durante i quali nacquero, crebbero, si conobbero nel periodo della scuola, si sposarono, ebbero dei figli e numerosi nipoti e tutt’insieme si ritrovavano al sabato sera nella loro casa al mare, contenti di esserci e felici di far visita a quei due delicati vecchietti.

Al Bell’uomo di Montebamboli, per l’occasione, spuntarono le ali, un bel paio d’ali con le piume candide e splendenti, un bel paio d’ali che erano una meraviglia a vedersi.

Alla Bambina dagli occhi di nocciola, per l’occasione, gli occhi le diventarono blu oltremare, un blu da notte di fine giugno in vetta all’Appennino, un blu (almost blue) da struggente standard del jazz.

E nella tristezza di quegli occhi, il Bell’uomo di Montebamboli, non seppe purtroppo leggere il preludio della fine di quel soffice amore appena partorito: il germe che lo aveva minato fin dall’inizio, stava, irrimediabilmente, proprio nell’impellenza con la quale quell’amore si era palesato.

Come certi incendi che per estinguersi devono essere strangolati privandoli dell’ossigeno di cui si nutrono, così pure quell’amore si spense dentro il sottovuoto spinto deflagrato dal proprio Natale.

Vittima della propria stesa forza: brillato, arso e domo nel giro di quei tre minuti primi.

Gli occhi della Bambina dagli occhi di nocciola, quegli occhi prima nocciola e poi blu (almost blue), lo avevano loro malgrado saputo vedere, non fu quindi loro la colpa di quello che poi accadde.

Come insegna l’Uomo vestito in modo buffo col suo modo di fare, spesso non c’è un rapporto nella giusta proporzione tra la causa che ha generato un episodio e gli effetti che (ahi noi!) ne sono potuti poi derivare.

Quindi non c’è da stupirsi, se in soli centottanta secondi si era consumato un amore così prezioso per quanto lieve, con esiti così anomali per quanto dolorosi.

Accadde che il bell’uomo di Montebamboli, aspettò davanti al telefono che la Bambina dagli occhi di nocciola lo chiamasse, come promesso con un’ultima fugace occhiata al temine di quello che entrambi, più o meno involontariamente, sapevano benissimo essere il loro primo e ultimo consapevole incontro.

Aspettò.

Prima delle ore.

Poi per dei giorni interi.

… …

… … …

E nel mentre lasciò che la casa gli si riempisse di polvere, che la sua barba gli crescesse fuori misura, che i suoi vestiti si sporcassero, e che il suo peso calasse di parecchi chili sotto il peso forma.

… …

Questo fin quando capì che lei non lo avrebbe chiamato;

che lei non lo avrebbe mai più voluto rivedere;

se possibile neppure mai più immaginare, aspetto che si rivelò assai più semplice e veloce dell’ipotizzabile.

Poteva chiamarla lui, certo; dirle che gli mancava di già, anche se non la conosceva ancora, anche se non era sicuro di essere veramente innamorato, ma avrebbe voluto con tutto il cuore avere l’occasione per scoprirlo; avrebbe voluto vederla ancora una volta, anche solo per sbaglio, di lontano, come dal finestrino di un bus che stava già partendo.

Ma non osò farlo.

Principalmente a frenarlo, era l’insostenibile possibilità affatto remota di sentirsi dire “…guarda, scusa ma ti sei  sbagliato, non è proprio così. E poi tu a me non ci saresti mai arrivato. Ciao, eh!…

Poteva chiamarla lui, certo; ma non osò farlo

… …

Diversamente da quello che potrebbe sembrare, per questa storia non c’è né una conclusione lieta né una conclusione triste; questo perché le storie, a volte non finiscono appena hai chiuso le pagine e smesso di leggere, ma continuano per i fatti loro, crescono come i girasoli, che poi si seccano, che poi li colgono, che poi ci fanno l’olio, che poi ci condiscono l’insalata e via così.

Per questa storia c’è solo quello che potremmo circoscrivere come “un assestamento delle cose ”.

La Bambina dagli occhi prima neri e poi blu non ci fece quasi più caso appena girato l’angolo, mentre il bell’uomo di Montebamboli non si riprese affatto bene all’urto di quell’amore creduto, sperato e desiderato e infine mancato, il tutto in tre giri di quadrante della lancetta più lunga.

Risultato fu, che come un cane ne soffrì.

Per degli anni.

La Bambina dagli occhi prima nocciola e poi blu e il bell’uomo di Montebamboli s’incontrarono di nuovo;

in un’altra vita, però.

Tutto funzionò a meraviglia:

si innamorarono garbatamente, con un passo giusto, fin dai tempi della scuola; a volte si lasciarono e a volte si ripreso; questo fin quando, giunto il momento, decisero di mettere la testa a posto per unirsi in matrimonio.

Alla loro cerimonia nuziale non poterono certo disertare La Dama della Città Murata (ovvero delle Torri di Bologna) e L’Elfo di Leningrado, il Tipo vestito in modo buffo e perfino, pur forzandosi contro la propria natura, il Nostro Cattivo tutto vestito a festa che sembrava quasi lui lo sposo.

Negli anni a venire ebbero tre figli: Tommaso, Emma e Marta.

Oggi abitano in una roulotte parcheggiata su una spiaggia di sabbia vera della costa occidentale, che così si vede il tramonto sul mare quando è sera.

Gestiscono il loro tempo con disinvoltura, tra una pineta bassa e fitta e una siepe di scopa di saggina.