Rimini-San-Marino5Il vantaggio di dover andare a San Marino, per chi come me abita a Bologna, sta nel fatto che nel volgere di poche ore ti sei levato il pensiero.

Diverso per chi viene dalla parte di Arezzo; ci vuole un po’ più di tempo, ci vuole magari una bella giornata di sole, così da potersi godere le fresche ombre del valico appenninico e comunque il cammino per quella strada davvero bella ti risarcisce ampiamente del pegno da pagare poi all’antichissima e nobile Repubblica del Monte Titano.

Perché nei libri di storia si parla davvero di questo posto, non è il parto della brillante iniziativa di qualche ente promozionale turistico della zona e basta.

Si può leggere che intorno al milleduecento esisteva un tipo di nome Marino, divenuto poi Santo non so in virtù di quali meriti, che scalpellando scalpellando tirò su una città a cavallo di questo crinale di tufo pre-appenninico.

Si può leggere di come la Repubblica sia passata indenne, quasi a livelli elvetici a tutte le vicende storico-politico-economiche del resto del mondo degli ultimi sei settecento anni, mica roba da ridere. Se poi ci si pensa un attimo in più, ci si accorge che non si ferma solo a questo la similitudine con la Repubblica cantonale.

Tutto questa storia è ancora presente qui, in tutto il suo splendore da chirurgia estetica, la riprova del fatto che, se è vero come anche la goccia d’acqua più piccola scava la roccia, questo risultato è il minimo ci si potesse aspettare dalla tenacia dei discendenti dello scarpellino del Monte Titano.

Per chi arriva a San Marino dalla parte del mare la sorpresa maggiore é scoprire la tangenziale, che fa immaginare redditi netti pro capite di livello Monegasco, che dall’uscita della A14 di Rimini Sud, inerpicandosi lungo una serie di spire e di anse interminabili, porta diritto in centro.

C’é perfino la dogana come a Como Brogeda, con gendarmi che ti guardano accondiscendenti e per un momento credi davvero di entrare in un altra nazione, il display del cellulare dichiara che quelle e la rete Tim delle Repubblica sammarinese e poi alla prima richiesta di informazione (più che per necessità, per curiosità) ti ricordano che qui parlano romagnolo, come a Mirabilandia insomma.

Dal parcheggio allungo lo sguardo verso Rimini: l’Adriatico e il cielo si fondono in un’unica enorme nuvola nera da idrocarburo raffinato che inizia a venirci incontro; mi affaccio a uno dei bastioni e vedo anche dei lampi, ma niente paura, sono solo dei turisti che posano contro il panorama.

“Non ti appoggiare lì che mi fai patire!…”

“Anvedi caruccia la bottijetta fatta a forma de torre co’ li merli!…”

“Guarda cosa non è quello scorcio con quel terrazzino tutto fiorito!…”

“Ma la guida quando ha detto che partiva l’escursione termica? e quanto costava poi?…”

Viste dall’alto della rocca principale, le pendici del Monte Titano, sono tappezzate dai tetti delle fabbriche di mobili in stile (rigorosamente in stile), dai tetti delle concessionarie e auto officine di auto di classe, i tetti delle villette mono familiari a schiera con annessa piscina, segnate  dal serpentone della tangenziale e ancora da una miriade di altre costruzioni industriali artigianali; non cambia proprio nulla rispetto all’operosa Italia emiliano-romagnola che è solo qualche centinaio di metri più in là; solo un po’ più fitto, tutti stretti per stare dentro a confini fiscali di stato.

Da per tutto, in centro, esposte nelle decine di negozi di souvenir, balestre, archi, pistole a tromboncino, a canna corta o cortissima, spingarde e moschetti, spadoni, stiletti, katane da samurai, scimitarre da moro, armature da cavaliere del basso medioevo ed elmi cornuti da vichingo; in certi negozi addirittura ci sono delle colubrine, probabilmente funzionanti, già belle e pronte da portarsele nel giardino della villetta, tra la piscina e la cuccia del dalmata, per salutare con una salva il ritorno dei figli o a tutela dei rapporti di buon vicinato.

Da per tutto bandiere di squadre di calcio, magliette dell’Inter e del Milan e della Juve, il faccione di Del Piero, il faccione di Ibraimovic, il faccione di Vasco con su i suoi begli occhiali da sole, e ancora immagini di attori noti, quasi noti, non più noti, vampiri pronti al morso e bottigliette mignon di qualsiasi tipo di analcolico, alcolico e superalcolico distillato dal genere umano: si passa dalle miniature delle lattine di sprite fino alla grappa Nardini, senza trascurare il Marsala all’uovo o il Maraschino di Trieste. Da queste parti vanno per la maggiore il “Lacrima Cristi” e il celebre “Amaro Tilus” il centerbe della Repubblica, con una lieve predominanza di quest’ultimo.

Davanti al palazzo del governo c’è ressa di pubblico, ancora lampi di flash, sguardi ammirati, brusio degli astanti: é il cambio della guardia, proprio come a Buckingham Palace, coi soldati vestiti di rosso e di verde con la spada e il pennacchio sul berretto, abbigliati come dei finanzieri-guardie forestali-vigili del fuoco-domatori di bestie feroci alle dipendenze del Signor Barnum. Anche un po’ capotreno dei Freccia Rossa.

Al fascino della divisa non resiste nessuno, specie le ragazze straniere in vacanza sulla riviera, smaniose di avventure col bagnino, di baci e carezze rubate nel retro cabina dello stabilimento, costrette dai genitori, dai fidanzati, dai mariti al tour medievale per eccellenza “Guarda guarda che carino che è quel soldatino… un pensierino quasi quasi…”. Vogliamo forse dargli torto? visti i genitori, i fidanzati, i mariti tutti in braghini corti e ciabatte infradito, con sopra l’impermeabile di nylon multicolore da due euro e cinquanta per ripararsi dalla piaggia che inizia a cadere, tutti come preservativi tuttifrutti e millegusti, giallo limone, rosso fragola, verde mela.

Improvvisamente si sente la sirena di una ambulanza, qui nel cuore della Capitale.

Dai, non ci credo, un’ambulanza a spezzare l’incanto della Repubblica delle favole (giuro che o mangiato in un posto che si chiama “Ai sette nani”).

Eppure è un’ ambulanza davvero, con il suo bel lampeggiante blu, la sua bella croce rossa, il dottore e i paramedici come da regolamento. Forse che il menù turistico tutto di pesce “fresco” a prezzo fisso, 10 euro bevande e caffè compreso, inizia a mietere le prime vittime?

Per fortuna rientra l’allarme: è solo un lieve malore di uno stanziale, ma quale prova di efficienza per il locale ministro della sanità!

Il freddo si fa polare e potrei giurare di aver visto uscirmi un fumetto dalla bocca.

Per le vie del centro ricordo che, qualche tempo prima di venire qua, vidi lo spezzone di un film anni ’50 interpretato da Tyrone Power. Tyrone aveva la parte di un qualche nobile medioevale, quel medioevo dominante nell’immaginario collettivo holliwoodiano di molti anni fa (anche se non giurerei ci abbiano rinunciato): lui se ne veniva fuori bello come il sole da una delle rocche di San Marino e dopo appena qualche passo, d’un tratto, si trovava in mezzo a Piazza del Campo, poi girava l’angolo ed era a San Gimignano, sai in quella viuzza proprio dietro gli Uffizi? Proprio lì era. San Marino, un location magnifica per un film in costume. Ma neanche gli americani, forse, ne erano così convinti.

Più in alto, ecco dei costumanti del ‘500 che simulano un duello, altri sparano con una bombarda, altri ancora cercano di pescare le monetine buttate dai turisti dentro un pozzo, altri chiacchierano al telefonino; una roba da matti…

Se siamo fortunati, per movimentare la giornata, forse tra gli sfidanti ci scappa il morto.

Intanto Tyrone ha il suo bel da fare sui bastioni “Occhio alle coste uomini! Oliate le armi e in guardia con quei musi gialli! Ricordatevi di Pearl Harbor!” Se solo il nuvolone color acciaieria di Piombino si decide ad arrivare, Tyrone avrà ben altro di cui preoccuparsi che non dei giapponesi.

Il museo delle armi antiche sarebbe assolutamente degno di nota, con i suoi pezzi che vanno dal mille e cento fino agli inizi del secolo scorso; se non fosse che in mezzo a tutto il resto si finisce per non sapere più cosa é vero e cosa é falso, finisce tutto sullo stesso piano, tutto assume lo stesso valore: più o meno il prezzo di un cheesbourger e una coca.

Prima di venirmene via ho pensato che un souvenir di San Marino avrei potuto comprarlo anch’io.

Magari qualcosa di tipicamente del posto, artigianato locale forse. Qualcosa che mi facesse ricordare di questa mezza giornata dal sapore internazionale, la gita all’isola che non c’è in cerca dei bimbi perduti in questo luogo.

Ho pensato che non potevo andarmene a mani vuote; allora ho parcheggiato in doppia fila, sono entrato in un negozio guardandomi un po’ intorno e ho preso una bella bottiglia di limoncello di Sorrento.