La felicità è il primo bagno a mare della stagione e dopo una frittura di pesce, ma va bene anche un panino o tre albicocche.
Il primo bagno a mare della stagione è un’esperienza assolutamente catartica venata di misticismo, da affrontare con devozione totale.
Una cerimonia religiosa nella quale tu sei l’unico sacerdote officiante e l’unico fedele presente.
L’attesa cresce via via che il momento s’avvicina e già verso Colle Val d’Elsa, sulla strada che da Bologna porta alla costa tirrenica, il tardo pomeriggio del venerdì che precede il gran giorno, l’euforia comincia a dare alla testa; nelle narici confondi il fieno appena imballato con il sale dell’acqua in cui mi tufferai tra poche ore.
La sera dopo cena poi, è come la vigilia di Natale, anzi, a Natale provo meno emozione e il ventiquattro sera mi diverto di più che il giorno dopo; ma il giorno del primo bagno ragazzi, è qualcosa da ricordare.
Il primo bagno a mare della stagione è una buona novella, Natale e Pasqua che cadono insieme lo stesso giorno, una nascita e una resurrezione, un’eucarestia totale; è fermare il tempo per qualche istante e tornare dentro al liquido amniotico che avvolge la terra, un parto al contrario.
La mattina che sei sveglio, la prima occhiata va subito alle persiane e se hai fatto lo sbaglio di nasconderle troppo con gli scuri, ti si gela il sangue, per via della pochissima luce che passa tra una fessura e l’altra.
“Merda è nuvoloso!”
Ti butti sull’infisso e mentre lo spalanchi, col cuore in tumulto, ti accorgi delle rondini che stanno già strillando e, un attimo prima che la luce ti baci in fronte, hai già capito che invece il sole splende e la funzione e salva
“Si va al mare, via!”
Le salviette e le palette,
il secchiello e gli occhialini,
il pallone e l’ombrellone;
ti sei lavato i denti?
Fermati al forno che prendiamo la schiaccia;
piano per le curve, che il bimbo vomita.
Mi sveglio alle otto e parto due ore dopo:
mi distrugge e mi esalta quest’attesa carica d’aspettative e d’emozione, l’ho detto, è una prima comunione.
Ogni volta!
La strada provinciale, la via Aurelia, di nuovo la provinciale e poi via per divisioni amministrative sempre più locali, fino alla stradina, parallela ad un canale d’irrigazione, lungo il quale, abusivamente, lascio la macchina.
Attraversato il campo che separa il parcheggio da quella costa, si sale lungo il viottolo, poi attraverso la pineta che il Granduca Leopoldo fece piantare e dopo la siepe di scope di saggina finalmente eccoci alla spiaggia.
È come entrare a San Pietro, come ammirare la Pietra di Luna alla Mecca, meglio: è come andare sulla luna e tornare la sera a casa per cena.
Nel punto in cui stavo per piantare l’ombrellone ho trovato un sasso, niente di speciale, solo che aveva una vena bianca che lo segnava tutto intorno, una specie di linea di confine da geografia politica (indubbiamente da valicare entro brevissimo tempo) una linea da fallo laterale, insomma.
Una specie di meridiano di Greenwich dal quale far partire il conto alla rovescia:
-10, 9, 8…via le scarpe
7, 6, 5, … via la maglia
4, 3, 2… quanto sarà fredda l’acqua….
1, 0 … tuffo!
Dio com’è bello!… si è freddissima, muovi queste braccia… mi manca già il fiato ma è l’emozione sai… un po’ di rana sott’acqua, altre due bracciate a stile e poi caccio la testa fuori perché non mi scoppino i polmoni; sbatto un po’ le pinne per fare più schizzi che posso, eccomi mamma, sono tornato…
Non mi chiamate e lasciatemi stare in pace; sono come un matto e vorrei mettermi ad urlare e correre sulla spiaggia a quattro zampe.
Allora esco e provo ad abbracciarla, quella sabbia, guancia a guancia; affondo le mani nei suoi fianchi e stringo fino a che le unghie non mi fanno male; giro un po’ la faccia e con la punta della lingua, noncurante degli streptococchi fecali in agguato, assaggio un po’ quell’acqua: mai stata più salata di così, mai stata più dolce di così.
Le formalità di rito sono quasi espletate e la funzione volge ormai al termine.
Mi alzo in piedi guardando verso il sole e incrocio le mani dietro la nuca ridendo di felicità, d’altra parte è il primo bagno a mare della stagione, cosa si vuole di più dalla vita, potrei morire qui anche adesso.
… … …
La frittura mista sapeva un po’ di ammonio, niente di che; però sapeva anche di tutta quell’aria che c’era lì intorno, sapeva di macchia mediterranea, di rosmarino e di ginestre, mi sembra che qualche cicala stesse già gracidando.
Si può volere di più dalla vita?
Amen.