Piazzola_emergenza_A1Fermo nella piazzola di sosta lungo l’A1, appoggiato alla sportello della Citroen, ripenso a quello che mi ha detto poco fa il professor Pavesi.

Scorrono auto e camion sulla corsia qua davanti, ne seguo qualcuna come in una partita a tennis, da sinistra verso destra fino a che non scompaiono.

Orario da rientro, il traffico si fa più intenso e veloce, la gente ha voglia di tornarsene a casa per cena.

Il cielo verso nord, dopo il quotidiano acquazzone di questi giorni, è ancora nero e gonfio di pioggia.

Verso sud si è schiarito e da qui s’intravvede la collina di San Luca.

Mi ha ricevuto nel suo studio al terzo piano dell’Ospedale di Baggovara, il nuovo ospedale di Modena.

«Piacere, Renzi. Le ho portato il cd con l’ultima risonanza magnetica di mia moglie, come eravamo d’accordo»

«Diamo subito un’occhiata»

Si siede davanti alla scrivania, inserisce il cd nel lettore del PC e inizia a esaminare le immagini.

Non senza una certa ironia, di fianco ala tastiera, come porta penne c’è un teschio, finto; almeno credo.

Con la rotellina del mouse scorre velocemente le immagini che viste in sequenza assumono l’aspetto di un’animazione, tipo cartone animato in bianco e nero degli anni trenta.

Oltre l’ingombro delle ossa del cranio, mi sorprendo nel riconoscere l’ombra del profilo  di Sabrina: la fronte, la linea del naso, il mento, proprio lei, si riconosce benissimo.

Mi è venuto da pensare alle immagini delle ecografie che vedevamo quando era  incinta di Leo o di Jac, quei profili in bianco e nero appena accennati che disegnavano una nuca, una bocca, la schiena incurvata…

Dalle immagini che scorrono avanti e indietro come alla moviola, emergono le due macchie bianche delle neoplasie,  ecco quella del cervelletto e l’altra nella zona cervicale: due puntini che velocemente aumentano di dimensione, raggiungono il loro ingombro massimo e poi si riducono di nuovo per sparire.

Avanti e indietro, avanti e indietro, per studiarne la posizione, le dimensioni dell’ingombro, per capre dove sia radicata la loro appendice nel cervelletto e nel midollo spinale…

Passa qualche minuto durante i quali il Professore scorre le immagini e io racconto dell’ultimo intervento, di come sta Sabrina fisicamente e sopratutto, forse, di come sta psicologicamente.

Poi il Professore lascia il mouse e si accomoda meglio sulla sedia buttando le spalle contro lo schienale.

«Come credevo le devo confermare il percorso che vi hanno ipotizzato a Bologna, non c’è altra soluzione alternativa all’intervento chirurgico»

«Già. Immaginavo una cosa del genere…»

«…»

«Solo che la sensazione che ebbi quando ci raccontarono di questo percorso, è stata quella di avvertire, non so come dire… avvertire del timore da parte loro, ecco..

«Capisco.»

«Non sul momento, ma ripensandoci qualche giorno dopo l’intervento per la riduzione dell’idrocefalo, rimettendo insieme le parole, la sensazione fu quella e quella è rimasta. Poi con questo non voglio assolutamente mettere indubbio le capacità professionali, non ho certo i titoli per fare questo e non è mia intenzione, però quella sensazione…»

«…»

«…ed è per questo che ho pensato di chiedere altri pareri: a Milano, il San Raffaele, a proposito della Radioterapia, che però sembra non essere di aiuto. Poi Verona e poi Padova dal professor Opocher che mi ha fatto il suo nome…»

«Lei sa bene che sua moglie è affetta da una sindrome piuttosto rara, sono circa solo 2500 pazienti in Italia e a livello regionale la percentuale è veramente minima. È normale che una tipologia di intervento tanto particolare rappresenti un’eccezione o quasi.

Lavorando a Padova fino a due anni fa, che per la Sindrome di Von Hippel Lindau è un po’ il centro principale in Italia, ho avuto occasione di affrontarne diversi, come del resto da due anni a questa parte qui a Modena, casi provenienti un po’ da tutta Italia. A proposito, voi di dove siete?»

«Toscani, viviamo a Bologna dal ’90, ma siamo toscani, di Massa Marittima, vicino a…»

«Si! Conosco, bellissima cittadina… oltre a quanto le stavo dicendo, il quadro è complicato dalle caratteristiche che queste neoplasie hanno assunto: sono tutte e due importanti, piuttosto grandi e un conto è trattare una ciste di un centimetro, un conto una tre o quattro volte tanto…»

Lo fisso negli occhi con insistenza, non voglio perdermi neppure una parola, neppure una sfumatura, per capire e ricordare ogni cosa che mi sta dicendo. Provo a trovare qualche obiezione, qualche se e qualche ma, però senza troppa convinzione.

«Quello nel cervelletto, l’intervento dico, è relativamente semplice…»

mi viene da sorridere, intendendo con quel sorriso “quello che a lei sembra semplice per la maggior parte di noi appare miracoloso, lo sa questo, vero?»

mi ricambia l’accenno di sorriso, come a voler confermare «si, lo so, d’altra parte ne ho visti e fatti tanti

…nella zona cerebellare la cisti è ben definita e circoscritta, una volta entrati si riesce a lavorarla bene. Quello nella zona cervicale è indubbiamente il più complesso…»

«Al Bellaria in prima battuta avevano ipotizzato un intervento unico nel corso del quale intervenire in entrambe le zone, tranne poi ritornare su questa possibilità perché avrebbe richiesto troppo tempo e non avevano la certezza che…» mi fermo un attimo per ricacciare in gola le lacrime, ma la voce un po’ si incrina «…la certezza che il paziente potesse farcela a sopportare un intervento tanto lungo…»

«In questi casi si pensa sempre che sia un peccato fermarsi una volta arrivati lì: sono così vicine le due zone che viene da dire che peccato, dalla via che siamo qui, non portare a termine tutto il lavoro. Però sarebbe perfettamente inutile escluderlo o prevederlo adesso: è una situazione che viene valutata in sede operatoria, dopo che si capisce a che punto siamo arrivati, quanto tempo è trascorso, le condizioni della paziente e tutta una serie di considerazioni che adesso sarebbe prematuro fare.»

«Capisco… o almeno credo di capirlo… non so proprio proprio come affrontare la questione con Sabrina, cosa dirle, se provare a convincerla…»

«Per il momento la valvola di drenaggio le tiene sotto controllo la possibilità che le si riformi l’idrocefalo e questo le da già una bella mano. Intanto ci pensi… continui pure a pensarci.

Nel caso decidiate per l’intervento potremmo ricoverarlo un paio di giorni prima, farle una risonanza e intervenire; dopo uno o due giorni di rianimazione, se non ci sono problemi, nel giro di una settimana dieci giorni al massimo la rimandiamo a casa…»

Resto appoggiato alla Citroen, in questa piazzola di sosta dell’A1, con le braccia incrociate dietro la testa; mi stiro un po’ la schiena e guardo verso San Luca e poco più in là, dove credo possa essere, vista da qui, Villa Bellombra.

Vorrei tanto ci fosse qualcuno che al posto mio  vada a raccontare a Sabrina di questo ennesimo incontro;

e poi qualcun altro ancora, che  decida per noi, qualcuno in grado di valutare con precisione i vantaggi e rischi e un secondo dopo scegliere cosa è meglio, se aspettare il momento in cui le due neoplasie decideranno cosa fare dando il meglio di se, o affrontare, con tutti i rischi che ne conseguono, un intervento per cercare di fermarle…

Testa o croce.

Sono stato ancora un po’ lì così, ovviamente senza trovare una risposta, ma del resto non è che me lo aspettassi.

Poi sono risalito in macchina e ho ripreso la strada per casa.