IMG_3108«Leo, puoi accompagnare tu Jacopo a calcio, così io sto un po’ qui con mamma?»
«Si certo, tranquillo, vado io. Senti, dopo io resterei un po’ fuori, va bene?»
«Si d’accordo. Fai bene eh. Anche tu Jacopo, ok? E divertiti a calcio. Datemi un bacio…»

Prima di prendere Jacopo alla fermata dell’autobus che lo riporta da scuola, sono stato un’ora e mezza in macchina con un amico a parlare dei miei guai e quello che ne è venuto fuori è che l’unica scelta da non fare è quella di non scegliere:
parlo del prossimo intervento che dovrà subire Sabrina… no… preferisco cambiare la forma con cui esprimo questo concetto; vediamo:
parlo del prossimo intervento al quale dovrà essere sottoposta Sabrina.
La differenza tra dire dovrà subire e essere sottoposta, potrebbe sembrare solo un dettaglio formale; invece voglio impormi la convinzione che si tratti di una differenza sostanziale.

L’atteggiamento che dovremo avere quando saremo nel prossimo ospedale è quello di una famiglia che va incontro a un passaggio obbligato, inevitabile, ma ci va con la consapevolezza che non subiremo.
Saremo invece coscienti di metterci nelle mani di persone con le quali collaborare, in grado tutti insieme di porre rimedio al nostro disagio.
Quel medico dalla faccia simpatica lo abbiamo cercato, siamo andati a conoscerlo, ci abbiamo parlato e ci siamo convinti che potrà essere lui una di quelle persone in grado di aiutarci e vaffanculo la sfortuna, il caso, la sorte gli oroscopi…

… … …

«È anche colpa mia»
«Non dire cagate, colpa tua!»
«Ma si invece, le fossi stato più vicino, le avessi fatto passare una vita tranquilla e invece in questi ultimi tre anni una cazzata dietro l’altra, é anche colpa mia, se fosse riuscita a stare almeno un po’ serena, sarebbe stata meglio anche se stava già male. Poi anche gli altri che mi sono stati vicino in questi anni potranno lamentarsi anche loro, che ho un carattere di merda, che non ascolto, non vedo, ma cazzo, la vita che ho fatto fare a lei è niente a confronto...»
«Non è così non è così, ti dico di non dire cagate. Uno fa delle scelte, segue il suo carattere il suo modo di essere, una volta va bene una volta va male, cazzo, si potrà sbagliare davanti a un semaforo no? Allora poi uno cosa fa, si da la colpa di tutto? Tu non c’entri niente… sarebbe andata così lo stesso e lo sai…»
«…e poi ieri sera… Jacopo era un po’ spento, sembrava triste e quando fa così il passaggio successivo è che diventa intrattabile. Gli chiediamo cos’à, se è successo qualcosa a scuola o qui davanti casa, ma lui dice niente. Prova anche Leonardo a chiedere, ma lui continua a dire che non è successo niente, ma dopo un attimo senza che si metta a piangere veramente gli scende una lacrima sulla guancia… che cazzo dovevo fare, mi sono alzato e sono andato ad abbracciarlo e poi lo abbiamo abbracciato tutti e tre e baciato…»
«…»
«Forse non c’entra niente con tutta questa situazione, ma invece lo so che c’entra eccome, cazzo… Abbiamo visto un film insieme sul divano, lui seduto appoggiato a Leo. Poi si è addormentato e l’ho portato a letto..
«Diobono, queste cose ti spaccano il cuore… però tu ci sei per far fronte anche a questo, per caricare Sabrina e i tuoi ragazzi..

Vado a prenderlo alla fermata, una delle ultime volte per quest’anno, la prossima settimana la scuola finisce e finiscono anche le sue elementari e tra poco sarà grande anche lui.
Non mi dispiace che cresca, figuriamoci, crescere è uno dei verbi più belli.
Mi dispiace  come questo passaggio spesso faccia tabula rasa col passato: oggi Jacopo è qui, con quel suo sguardo stralunato, mentre sta scendendo dall’autobus e tra poco quel ragazzetto non ci sarà più, sostituito da un altro che avrà le sue sembianze.
Non si riesce mai bene quanto si vorrebbe (si dovrebbe) a cristallizzare certi momenti per conservarli più a lungo possibile.
Forse ci si riesce in qualche foto, eppure anche per quelle, quando le vai a rivedere dopo anni, ti accorgi sempre che te ne manca una, quella che non hai scattato, ti ricordi quella volta… eravamo in… accanto a…

«Senti Sabrina… dovremo parlare un attimo… di come stai…»
«Te ne approfitti perché sono a letto e non me ne posso andare»
«Già, ti prendo da ferma così non scappi fino a che non ho finito»
«Si, lo so come sto: non sto bene, non riconosco il mio copro, non capisco cosa mi vuol dire, non capisco più nulla…»
«Sai che se restiamo ad aspettare così, senza far niente, le cose non cambieranno, vero?
«E cosa c’è da fare? Va così e basta, cosa dovrei fare?»
«Io credo che tra lo scegliere di non fare niente e fare qualcosa ci sia una bella differenza…
Sabrina, se non proviamo a fare niente il tuo stato  è destinato a peggiorare, la malattia continuerà fare il suo corso come niente fosse, gliela vogliamo dare vinta?»
«Ma tanto ha già vinto, lo vedi come sto? Ha già vinto e allora basta, basta così e non se ne parli più…
«Invece no che non ha vinto. Vince se non facciamo niente per contrastarla. Poi lo so che io faccio presto a parlare, lo so, tanto io mica provo quello che provi tu, mica ci vado io sotto i ferri, però…»
«Perché dici sotto i ferri? Lo sai che io non mi operò più, scordatevelo, ti compri una bella fascia nera da metterti al braccio e finisce lì!»
«…»
«Perché? Ti hanno parlato di un’altra operazione?»
«Ricordi cosa ci dissero al Bellaria?»

Non si ricorda cosa ci dissero al Bellaria, non era in grado di comprendere bene quando ci illustrarono il percorso successivo al primo intervento, né io mi sono dilungato troppo nel raccontarglielo; perché avrei dovuto darle anche quel peso in quei giorni?
Così le racconto adesso di cosa si tratta.
Le dico delle mail, delle telefonate e delle visite agli altri ospedali, al Carlo Besta e al San Raffaele di Milano, poi Verona e Padova e infine Modena, verso il quale mi hanno indirizzato da Verona e da Padova.
Le dico della faccia di questo dottore e delle sensazioni che mi ha trasmesso.
Sabrina piange, io mi trattengo. L’abbraccio a più riprese.
«Io non ce la faccio, non posso farcela…»
«Invece no, tu ce la farai perché puoi farcela, noi saremo qui accanto per aiutarti per quel poco che possiamo, ma non ci manda via niente e nessuno da qui accanto, stai tranquilla…”
“…”
«Nessuno ti chiede di decidere adesso, in due minuti…
Non possiamo però pensaci tra un mese perché non sappiamo la velocità con la quale queste maledette cellule hanno deciso di crescere, non c’è una letteratura medica o delle statistiche certe in questo senso e non possiamo perdere del tempo…»
«…e quando sarebbe?…»
«Potrebbero prenderti intorno alla metà di giugno. Il ricovero due giorni prima dell’intervento, per farti tutti gli esami di rito. Dopo l’intervento uno o due giorni di terapia intensiva e poi da quando torni in reparto, dopo una settimana dieci giorni, ci rimandano a casa…”
« in terapia intensiva non può starci nessuno con me, io non ce la faccio a stare lì da sola…»
«Sabrina ho raccontato bene del tuo stato psicologico e lui si è detto pronto a tenerlo nella massima considerazione, ovviamente entro i limiti della ragionevolezza… di questo non devi preoccuparti, io sarò lì con te, noi ci saremo lì con te…”

Ieri sera ho scritto due righe al professor Pavesi, chiedendo quando potremmo fare un salto a Modena.
Gli ho detto che mi basta un preavviso minimo; anzi, più breve è e meglio è:
devo prenderla all’improvviso da ferma Sabrina, perché non scappi…