Come un incidente in autostrada nell’altra corsia, che rallenti per guardare seguendo il suo richiamo morboso e ipnotico.
La morte della porta accanto è sempre un video tra i più cliccati in rete; dura mezz’ora, meno, venti minuti, ed è tutto finito.
La morte della porta accanto prima ti sveglia e poi ti fa alzare dalla poltrona per capire cosa sta succedendo e quando poi hai capito ti fa restare sulla soglia di camera tua, con la porta socchiusa, un piede dentro e l’altro fuori, per assistere al suo spettacolo da dietro le quinte.
La morte della porta accanto inizia con il segnale acustico dei monitor di controllo che rompe il silenzio della notte alle 4 e 43 e ti chiedi cos’è quel suono fastidioso d’antifurto che ti sveglia, e poco dopo le 5 resta solo il pianto di quella donna, iniziato venti minuti prima, poco dopo il rumore dei passi di infermieri e dottori che corrono.
Suoni sommessi dall’altra parte della parete, voci soffocate dietro la porta chiusa nell’altra camera e la figlia nel corridoio al telefono
“Vieni qui subito, papà sta male ci sono i dottori… si subito“.
La morte della porta accanto mi mancava alla galleria di situazioni e personaggi di questi anni di frequentazioni ospedaliere, quella donna con in mano una bottiglietta d’acqua e nell’altra il telefono
“è finito tutto, te lo giuro è stato improvviso… “
Ancora mi mancava, quella donna e il tumulto dei suoi pensieri, pensieri ai quali ero già stato accanto, nei giorni scorsi, seduto di fianco a lei nell’attesa che la visita facesse il suo giro in reparto, momenti in cui quei pensieri riuscivano ancora a restare a bada nella sua testa e nel suo stomaco, finché stanotte si sono liberati per prendere corpo e prenderla alle spalle, mentre quella spia rossa iniziava a lampeggiare bip bip bip bip…
Solo una porta sbattuta nella concitazione del correre intorno a quel letto, la porta che si riapre e richiude più volte per far entrare materiali e attrezzature che i due infermieri, con i quali ieri sera ho visto la partita della Nazionale, manovrano frenetici e sicuri, senza perdere un attimo.
Poi di nuovo silenzio, tranne i singhiozzi soffocati della figlia, in questa pratica del rispetto, perché gli altri pazienti non sentano che sta succedendo tutto questo.
Due medici escono dalla camera e la raggiungono nel soggiorno dove lei si è seduta, accostano la porta e le parlano per spiegarle l’accaduto.
Tutto finito.
I parenti che hanno fatto nottata sono già tutti svegli da un’ora e mezzo prima del solito, ognuno sulla soglia della propria camera, come affacciati sull’ingresso delle proprie abitazioni in occasione di un’improvvisa disgrazia condominiale.
Chi con le braccia conserte, chi con una mano sulla maniglia, chi parzialmente nascosto dalla penombra livida di quest’alba di fine giugno che non sembra ancora estate.
Tra alcuni di questi vicini si scambiano gesti
“Chi ? Quella camera li?“
“No, l’altra, quella subito dopo…“
un cenno di assenso, un’altro interrogativo, uno che fa di no con la testa, che non c’è più niente da fare; gli occhi di abbassano a scacciare un pensiero in comune “e se fosse toccato a me?“…
Si torna in camera, ci si rimette un attimo seduti in poltrona cercando il sonno perduto, ma ti pare che possa tornare il sonno?
Così il reparto riprende vita prima del solito, col solito via vai dalle camere al bagno alla macchina del caffè in sala d’attesa.
Nel frattempo sono arrivati i cari della figlia e finalmente quei singhiozzi trattenuti di sciolgono in un fiume di lacrime inframmezzate dalle sue parole che cercano di spiegare l’accaduto, come a giustificarsi
“mi sono accorta subito, ma che potevo fare…” e che poteva fare?
e le attenzioni sono tutte per lei che si è trovata da sola ad affrontare la morte nella porta acanto, porta che questa volta era l’ingresso di camera di suo padre.
malgrado l’argomento è un bellissimo racconto da cui emerge molto bene l’atmosfera che si viene a creare in quelle situazioni. (ci sono passata poco più di un anno fa… nel ruolo di figlia). ciao, buona giornata Ludmilla