L’estate in città, in giro per i musei della città, è una pegno da pagare, un obbligo morale da assolvere durante l’estate per rimediare al disimpegno del resto dell’anno: mai tempo, mai spazio, mai voglia, mille altre cose da fare, dire, vedere…
Musei deserti, baristi della caffetteria svagati, commessi del bookshop svogliati. Nelle sale nessuno o quasi, che ci vado a fare, a me piace guardare le persone che guardano, figuriamoci; vedere la loro meraviglia, il loro stupore, il velo di perplessità, un velo di commozione, a volte…
Osservare i gesti che si fanno l’un l’altro i visitatori, quando sono in coppia, per sottolineare una pennellata, riassumere una composizione geometrica, mimare un colpo di martello, perplessi davanti a una tela tagliata o davanti a una combustione. Figuriamoci se ci vado per stare da solo, in visita al cenotafio di artisti spesso nati, vissuti, morti e sepolti altrove…
E poi d’estate, nei musei, corro il rischio d’incontrare turisti con le infradito ai piedi, che qualcuno dovrebbe proibire, in ogni luogo tranne che al mare e in piscina.
D’estate, in città, infilo nel frullatore tele, busti, bassorilievi, sculture, stampe, performance, film d’autore, incontri con l’autore, incontri col fotografo, incontri col regista, tutti più annoiati di me, tutti desiderosi di trovarsi altrove, ma nulla a confronto della coppia qui accanto, ai quali non frega niente dell’inquadratura scelta: parlano sottovoce d’altro, non vedono l’ora di scappare a casa a fare l‘amore e sciogliersi di caldo l’uno dentro l’altra, per bersi quel brivido che certo non li rinfresca, ma li vedrà, un’ora dopo, seduti nudi per terra in cucina, con solo la luce del frigo aperto, a spartirsi la bottiglia dell’acqua gelata.