url2«Lascia stare, per favore, poi è peggio, credi di poter cambiare come vanno le cose a Montecatone e invece poi è peggio, dammi retta…»

«Io non pretendo di cambiare niente, ma se c’è qualcosa che non va, s’è c’è, passami il termine, un’ingiustizia evidente, non c’è Cristo che tenga, me lo devono spiegare e anche bene.»

«Per favore ti dico… così ci togliamo anche quello spiraglio di possibilità per restare qui…»

«No! Se decidiamo di restare qui lo facciamo perché tutto è stato sistemato e quando entrano in camera da te devono anche sorridere, vuoi scommettere?»

Ora su questa cosa del “devono anche sorridere“ l’ho sparata grossa preso dall’enfasi del momento; va be’, ci stava…

Però…

Io sono un partigiano.

Mi spiego.

Io sono un partigiano al singolare, uno che se ci fosse da schierarsi insieme ad altri cento, mille o di più, e combattere, non necessariamente imbracciando le armi, combattere in senso più ampio, a favore di qualcuno che sta subendo un’ingiustizia, ammetto che forse forse non ce la farei, che probabilmente penserei che tra quei mille sai quanti ce ne sono più in grado di me di farlo e che uno in più o in meno magari non fa la differenza.

Forse.

Poi non mi ci sono mai trovato, se si esclude qualche manifestazione o qualche corteo, ma quelle sono un’altra cosa, così non posso saperlo con certezza.

Però se c’è qualcuno che sta subendo un’ingiustizia non ce la faccio a tolleralo, è più forte di me, mi schiero, mi intrometto, mi frappongo, mi lancio, mi faccio linciare, faccio il partigiano; indosso l’armatura, lo scafandro, la tuta dell’astronauta o a torso nudo e impugnerei anche un’arma, se fosse necessario per impedire che l’ingiustizia venga perpetrata.

“Voglio anzi tutto dirle che sono in grande imbarazzo per l’accaduto e voglio porle le scuse a mio nome e a nome di tutto lo staff medico della struttura. Purtroppo ha richiamato la nostra attenzione su un punto, su più di un punto, sui quali ci siamo dimostrati carenti e se mai decideste di restare, sappiate che faremo in modo che la situazioni cambi; abbiamo già intrapreso le prime iniziative martedì con la prima riunione in direzione generale, alla quale seguirà un’altro incontro con tutti i responsabili dei vari reparti e delle varie mansioni…”

«Questo era il direttore sanitario; più o meno ha detto questo, non mi sembra male, no?»

«…»

“Sono sinceramente dispiaciuto… addolorato dell’accaduto e le posso garantire che qualunque sia la vostra scelta, se restare, tornare a casa, o rivolgervi anche ad un’altra struttura, sarà mia cura essere a vostra disposizione per mettervi in contatto con queste o fare in modo che si possa instaurare di nuovo il rapporto di fiducia tra di noi e Sabrina che avevamo all’inizio di questo percorso…”

«E questo invece è il primario.»

«…»

«Se dicono che sei un caso così particolare, io non pretendo di avere dei privilegi rispetto agli altri pazienti, ma almeno un’attenzione diversa, questo si. E poi magari ora qualcosa cambia anche per gli altri pazienti…»

«…»

«Adesso possiamo decidere di andarcene anche subito e nessuno di noi ti dirà niente per farti cambiare idea. Se restiamo non ho motivo di dubitare che gli impegni che hanno detto si prenderanno non vengano rispettati.

Così, al termine del successivo incontro, in tarda mattinata, con tutto lo staff medico che ha seguito Sabrina in questi untimi 50 giorni, ci siamo accordati per tre settimane di tempi supplementari, durante i quali proveranno anzi tutto a ristabilire un quadro psicologico più sereno, per quanto possibile fare, e a darle una maggior autonomia domestica.

Tre settimane durante le quali, a casa, organizzeremo le cose dal punto di vista degli ausili che ci occorreranno per quando tornerà.

P.s.: oggi, cinque secondi dopo aver suonato il campanello per chiamare il personale infermieristico che la mettesse a letto, sono arrivati in tre.

E tutti e tre sorridevano.

I GOT THE POWER!