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Riuscite a immaginare qualcosa di più difficile da gestire del sapere da più di cinque anni che vostro figlio ha una malattia rara?
Ve lo dico io cosa c’è di più difficile da gestire:
il doverglielo dire.

INCIPIT
– Senti Leo, c’è una cosa che dovrei dirti ma non so da che parte cominciare…
– Leo, ricordi quel prelievo di sangue fatto cinque anni fa a Padova? No? Allora te lo dico io per cos’era…
– Leo devo parlarti, il tema sarà la Sindrome di Von hippel Lindau, fatti trovare pronto…

La prima cosa che è bene lei sappia è che non esiste un modo giusto o un modo sbagliato per comunicare a un ragazzo, specie se è di un figlio che si parla, che è affetto da una malattia rara, fermo restando che qualunque modo possa essere usato avrà sempre sia degli aspetti positivi che negativi. Potremmo farlo noi, ma consideri che per suo figlio significherebbe trovarsi in una stanza davanti a tre persone, che come in un esame sono lì per parlare con lui, solo che lui non è preparato all’esame. Capisce bene cosa intendo…
La dottoressa Lo Russo mi riceve facendomi accomodare in un piccolo studio; ci sediamo ai lati opposti di una scrivania sulla quale è appoggiata una carpetta intestata RENZI LEONARDO.
– Ho raccolto tutta la documentazione di cui disponiamo, per altro non molta, ma credo di ricordare che abbiate fatto qui da noi solo l’indagine genetica e nient’altro, mi corregga se sbaglio.
È così infatti, Ho avuto qualche contatto con il Professore un anno fa, quando ci fu la necessità di far operare di nuovo mia moglie. Chiesi un suo parere per mail, su chi potesse essere il medico più indicato e lui mi segnalò il professor Pavesi a Modena, che fino a qualche anno fa lavorava qui a Padova. Il resto lo sa.
Il resto è consistito in una telefonata fatta direttamente al Professor Opocher nella quale gli raccontavo la situazione e chiedevo un appuntamento. Ci vedremo di nuovo da lui, con la genetista e la psicologa venerdì prossimo a Padova. Questo primo appuntamento con la dottoressa Lo Russo l’ho richiesto io, perché davvero altrimenti non avrei saputo cosa inventarmi per affrontare la situazione prima, mentre e dopo venerdì 27.

Facemmo il prelievo di un campione di sangue per l’indagine genetica ai primi di febbraio del 2009.
Si partì in una mattina fredda e piovosa per Padova, Sabrina, mio suocero, Leonardo, Jacopo ed io. Qualche giorno dopo a Sabrina e Bruno veniva confermata la diagnosi, entrambi affetti da Sindrome di Von Hippel Lindau, il test di Jacopo risultò negativo.
Quello di Leonardo positivo, seguì una certificazione scritta che avvalorava quanto anticipato per telefono.
Mi chiamò Sabrina per dirmi l’esito; ero in ufficio e rimasi per un po’ a fissare il niente. Poi mi alzai per andare al piano di Sopra da Andrea:
– Abbiamo avuto l’esito dell’esame genetico: è Leonardo…
– …
– Chissà perché credevo ci avrebbero detto Jacopo… e mi misi a piangere.

Ci siamo tenuti dentro questa rivelazione per i cinque anni successivi e potete immaginare come mi poteva pesare, specialmente dallo scorso anno, con Sabrina ricoverata e sotto i ferri per tre volte a causa di questa malattia e nei miei incubi peggiori lei si alternava con Leonardo su quello stesso letto. Quante volte ho scacciato il pensiero andando a correre, mettendo la testa sotto il rubinetto dell’acqua o sbattendola contro un muro, che una volta davvero quasi me la rompo.

– Si ricordi che la sincerità è di fondamentale importanza. Tacere su certi aspetti, cercare di edulcorarne altri, non paga mai e prima o poi, quasi inevitabilmente, queste piccole reticenze saltano fuori e rischiano di generare delle recriminazioni.
– …
– Dovrà dirlo senza l’aiuto di sua moglie, perché potrebbe essere estremamente negativo per Leonardo, sentirsi raccontare questo fatto davanti alla persona che ha subito così tanti danni dalla sua stessa malattia. Certo che poi, assimilata la cosa e superato il primo momento, questa sensazione negativa andrà a diluirsi, ma in prima battuta sarebbe preferibile evitarlo.
… … …

– Ciao bello, che fai per pranzo?
– Ma, vado a casa, poi una doccia ed esco, vado da Raffo.
– Ti va di mangiare insieme qualcosa in centro?
– Bella lì! Si dai, arrivo dove ci troviamo?

Ci siamo trovati all’Apple Store, davanti a un bel 21’’ e un’addetto che ci magnificava le prestazioni di quella macchina.

– Be’ si, ci stiamo pensando, magari ci rivediamo nei prossimi giorni.

Abbiamo mangiato una cosa lì dietro, in via Altabella, due chiacchiere sul locale e sull’ordinazione, un po’ di mondiali di calcio, degli gnocchi al pomodoro e basilico e dopo il caffè siamo usciti.

– Leo…  gli dico mettendogli un braccio intorno al collo
Anzi tutto come sei alto, troppo: ora basta crescere, eh… lui ride
– Lo sai che quando usciamo così insieme io e te c’è sempre la fregatura per te, si? penso a quella volta che a Massa lo portai dietro lo stadio per fargli la paternale perché avevo saputo che aveva iniziato a fumare; oppure quando mi chiamarono i carabinieri, che lo avevano beccato di notte, insieme a due suoi amici, a dipingere un muro alla sua ex scuola media e cosa non gli avevo detto la mattina dopo. Sciocchezze…

– Dai, dimmi tutto, cosa c’è ‘sta volta con un lieve sorriso
– No no questa volta non c’è nessun rimprovero… tiro il fiato, ormai ci siamo
– Dobbiamo parlare della tua salute Leonardo… e non c’entra niente il fumo
– Ah…
– Leo dobbiamo iniziare a fare degli esami, a tenerti un po’ controllato… non sapevo davvero da dove cominciare e così ho pensato che la cosa più giusta (la sincerità prima di tutto, no?) sarebbe stata quella di partire col dire cosa avremmo dovuto fare e poi, dopo, dirne la causa, ma non c’è stato troppo bisogno.
– Ah, ma non avevamo già fatto qualcosa, mi pare…
– Si, cinque anni fa a Padova, vi venne fatto un prelievo e…
– e?…
– …il tuo è risultato positivo
– Cioè negativo… Si, nel senso che non è andato bene, vero?
– Già, si è così.

Abbiamo girato in via Oberdan e ci siamo fermati sul muretto del primo portico a sinistra, davanti a una gastronomia col profumo degli affettati che veniva fuori nonostante l’orario di chiusura.

– Vorrei sapessi quanto è difficile dirti questa cosa Leo, però non posso non essere sincero fino in fondo… Inutile che stia qui a raccontarti storie, che prima o poi se dico delle balle queste saltano fuori ed è peggio.
– Certo, vai tranquillo, va bene così
– Non ti abbiamo detto niente prima perché forse eri ancora troppo piccolo… troppo giovane magari per capire bene, mentre invece questo ci è sembrato il momento giusto.
– Si certo lo capisco, tranquillo
– E poi devi sapere che la tua è una storia diversa da quella di mamma e anche quella di nonno, con loro è stato scoperto tutto chissà quanto tempo dopo che la loro malattia aveva già cominciato il suo lavoro chissà da quanto.
Hai il cinquanta per cento circa di probabilità che si manifesti oppure no e l’unica cosa che possiamo fare e tenere monitorata la situazione.
A Padova, oppure a Bologna, lo fanno una volta all’anno, oppure diminuiscono la frequenza se hanno dei dubbi. Dura un paio di giorni nei quali si resta in ospedale per tutti gli esami del caso; si va dal semplice prelievo del sangue fino alla risonanza magnetica. Lì a Padova hanno di quelle aperte, non con il solito tubo, quindi dovrebbe essere un po’ più rassicurante affrontarla…
Abbiamo dalla nostra parte il tempo, sei così giovane e abbiamo tutto il tempo per capire se sta succedendo qualcosa oppure no e nel caso capire bene cosa fare…
– Si, credo di aver capito tutto, ma per adesso non sto realizzando. Poi magari domani o fra una settimana mi rendo conto e smatto, vado giù di testa, non so, vediamo…

Ci siamo abbracciati e mi ha dato anche un bacio.
Poi ci siamo incamminati verso casa, io spingevo la bicicletta e lui accanto a me e ce la siamo fatta tutta a piedi parlando di politica, di mondiali, della libertà della rete, del loro viaggio a Barcellona…
Arrivati a casa me lo sarei portato nel lettone per tenermelo un po’ stretto come quando era piccolo, proprio come nella foto, ma non mi ha neppure sfiorato l’idea di proporlo: mica mi volevo far ridere dietro.

Appunto, vediamo…