“…Mio babbo fa un lavoro che però è anche un gioco, perché dice sempre che si diverte tantissimo…”
Il laboratorio di quella mattinata, di circa dodici anni fa, chiedeva ai bambini della prima classe elementare di raccontare cosa facessero di lavoro i loro genitori. Leonardo non trovò di meglio che scrivere quella frase, che però, in tutta l’ingenua semplicità delle parole di un bambino di sei anni, descriveva perfettamente il senso del lavoro di suo babbo e dopo dodici anni lo descrive ancora molto bene: il mio lavoro è anche un gioco e io i diverto moltissimo; non sempre, ma molto spesso.
Di getto, a chi mi chiede che lavoro faccio, mi viene di rispondere “Io? Disegno…” ma non è del tutto esatto, perché mi capita spesso di disegnare, anche se nella maggior parte dei casi si tratta di schizzi che servono da appunti per cose che verranno poi realizzate in tutt’altra maniera.
Molte volte (sempre più spesso) mi capita di scrivere per raccontatelo svolgimento di alcune situazioni (eventi per aziende, scalette per manifestazioni di vario genere, ecc.) e in questi casi il lavoro di ricerca, principalmente online, ma anche su libri, riviste, giornali, passeggiando in centro, è fondamentale per supportare le parole che dovrò scegliere nel testo. Diventa il modo per entrare in contatto con molti argomenti, alcuni dei quali serviranno al racconto, altri invece non entreranno a farne parte, ma rimarranno lì tra le cose scoperte, mai conosciute prima o solo sfiorate, in certi casi imparate con entusiasmo e che serviranno da spunto per altre circostanze. Cultura generale, come si dice.
Ieri abbiamo terminato un progetto che parteciperà a una gara, una gara importante, della quale circa entro un paio di settimane dovremmo sapere l’esito.
Ogni gara è importante, perché al di là dell’odiosa massima De Cubertiana secondo la quale l’importante è partecipare, in questa, come in molte altre circostanze, conta solo vincere, i piazzamenti non servono a un bel niente.
Che neanche questo è vero, perché si fa tesoro dell’esperienza, si medita sugli errori che forse sono stati fatti, su quegli aspetti che potrebbero non aver pesato come invece immaginavate avrebbero potuto fare nei confronti del committente, si pensa a cosa gli altri concorrenti potrebbero aver offerto più di voi, si traggono e conservano le somme per il futuro. E poi ci si immagina quando, in caso di sconfitta, il progetto avrà il suo svolgimento e sarete solo degli spettatori, interessati, perché sapete di cosa si tratta e perché potevate esserci voi, lì come protagonisti, mentre invece siete lì a guardare, come tutti gli altri, accorsi perché richiamati dal lancio promozionale davvero bello che utilizza una grande idea, quella che non vi è venuta, ma che hanno sfruttato i vostri concorrenti, quelli che hanno vinto. Alla faccia vostra e a quella del Barone De Cubertin.
Il progetto è stato consegnato ieri mattina e sono convinto si tratti di un buon lavoro, con tutte le incognite del caso, alcune legate non tanto alle idee contenute o al modo in cui sono state esposte, quanto alla reazione del committente; poi alle future trattative, se avremo occasione di condurne, per mettere a punto i particolari di chi presenzierà alla manifestazione e in che modo, la messa a punto degli appuntamenti collaterali, la definitiva individuazione dei luoghi, degli allestimenti e degli impianti tecnici e via via tutto quello che si porta dietro un grande evento come quello per realizzare il quale siamo in gara.
Ogni progetto per una gara è un progetto importante, perché si porta dietro ore di pensiero, di ricerca, di lavoro; ore trascorse da soli, nel silenzio della notte alla ricerca di un particolare in più che possa fare la differenza, oppure tra le risate, proprio come l’altro giorno, che sembrano far buttare via un’intera mattina, ma che poi, a sera, scopri che senza quelle risate non lo avresti terminato bene come invece è stato fatto.
Ogni progetto per una gara, ma ogni progetto in generale, rappresenta sempre qualcosa a cui tenere molto, non è come un figlio, ci mancherebbe, oltretutto molti non vanno a buon fine e addirittura s’interrompono non appena iniziati, quindi figuriamoci; però in certi casi ci si avvicinano molto ad essere dei figli.
Da qualche parte, nei cassetti o sul computer, conservo ancora le pagine stampate o i file di progetti vecchi anche di molti anni. Alcuni perché pensati assieme a persone a cui tenevo o tengo ancora davvero tanto, altri perché non sono mai stati presentati e non hanno avuto uno svolgimento, ma un giorno potrebbe tornare utile farli rivivere, o per prenderne uno spunto in un’altra occasione. Altri tenuti lì perché sono stati un fallimento, una gara persa, o, peggio ancora, progetti per un lavoro realizzato che però dell’idea che lo animava, in corso d’opera, perse il fil rouge immaginato inizialmente, finito chissà dove, tra richieste di modifiche o incomprensioni con il committente, tra oggettive impossibilità di realizzare qualcosa (a volte si vola troppo in alto, capita…) tempi sempre troppo stretti o conti economici sbagliati. Succede…
Quei progetti li conservano come le agende degli anni passati, per buttarci l’occhio ogni tanto e riscoprire giornate importanti e momenti no, scadenze rispettate, incontri fortunati, gioie, ricorrenze, lutti e dolori… Con i lavori fatti molti anni fa, paradossalmente, viene a instaurarsi come un dialogo tra l’io di oggi che li ritrova e quello di tre, quattro, dieci anni fa, l’io che li progettò. Quasi finiamo con lo scambiarci reciprocamente le sensazioni che li animarono e il sentimento che provo oggi nel ritrovarli. Ricordo tutte le suggestioni inseguite (anche le più insospettabili!) la scrittura nel senso più ampio e le aspettative create in attesa dell’esito; il dispiacere o la soddisfazione dopo che il lavoro progettato aveva auto il suo svolgimento ed era filato tutto liscio come l’olio, un successo…
Lo scopo di queste righe, mi accorgo solo adesso, in fin dei conti è il tentativo di raccontare, forse in maniera incompleta, tutto quello che c’è dietro a un progetto oltre alla trama che il cliente potrà leggere, i sentimenti, le passione, le energie messe in gioco, che possiamo solo sperare riesca a percepire, perché indirizzato fino a quel punto dalle parole che sono state scritte.
Lo scopo di queste righe, il loro valore oggi, è quello di un auspicio che faccio, in maniera del tutto irrazionale, affinché la gara che andiamo ad affrontare abbia un esito positivo.
E se andrà male… la fabbrica delle idee è sempre aperta, ci saranno altre opportunità.
Incrociate anche voi un po’ le dita, dai.
bello sapere cosa c’è dietro un disegno, un’idea, una semplice linea che divide il mare dal cielo….incrocio per voi anche le mani!!In bocca al lupo!!!