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Capita a volte che, quando servono, il caso ti faccia inciampare nelle parole che stavi cercando

Perché scrivo? Per paura. Per paura che si perda il ricordo della vita delle persone di cui scrivo. Per paura che si perda il ricordo di me. O anche solo per essere protetto da una storia, per scivolare in una storia e non essere più riconoscibile, controllabile, ricattabile…
Fabrizio De Andrè

Sabrina, in ambulanza con sua mamma, è arrivata qui poco prima delle quattro. Io e suo babbo, ognuno sulla propria macchia così da essere autonomi per poter tornare a Bologna quando avessimo voluto, siamo invece rimasti bloccati in un ingorgo in tangenziale e ci abbiamo messo quaranta minuti in più.

L’ho trovata spaesata, con la febbre alta. Immaginavo che il trasferimento l’avrebbe frastornata, succede sempre così, nel suo stato poi… La febbre speravo non tornasse, ma mi ha spiegato anche il medico di qui, con cui ho parlato prima di sera, che si tratta ormai di una febbre di origine neurologica, non più virale come quella fortissima, fino a 42 gradi, che le derivò dalla polmonite ormai più di un mese fa, un meccanismo indotto, come di un termostato guasto che non sapendo bene come reagire reagisce come gli viene e sale senza controllo.

Fuori minacciava pioggia, con delle enormi nuvole blu e il giardino qua intorno non rendeva bene come la volta precedente che venni qui per visitare il posto; e comunque, pioggia o sole, Sabrina non sarebbe stata in grado di apprezzarlo; spero domani, quando di mattina è sempre un po’ più in palla che nel resto della giornata, specie nel pomeriggio, che la stanchezza si fa sempre sentire molto.

Si era assopita e non appena si è ridestata, improvvisamente come le succede sempre, come se qualcuno l’avesse scossa, ha chiesto dei ragazzi, quasi solo muovendo appena le labbra.
Hai voglia di vederli?” Mi ha fatto segno di si con una smorfia, che domande! Certo che ha voglia di vederli…
Dai che li sento e vado a prenderli, eh?” questa volta con un cenno del capo ha detto si
Ok, vado e torno subito
E invece ci ho messo un’ora è più per tornare, bloccato dal traffico in tangenziale all’andata verso casa e di nuovo al ritorno per Bentivoglio.

Mamma non è molto lucida, è stanca per il trasferimento, non fateci caso, domani andrà meglio, sorridetele…
E invece è stata lei che ha subito sorriso loro appena li ha visti, dei gran sorrisi come erano giorni che non le vedevamo fare ed è stato bello, accidenti.
Adesso comincia il gioco dei mimi?” ha detto Leonardo ridendo per spezzare un po’ la tensione.
Li ho lasciati lì, con lei e i nonni, per andare dal medico che hanno detto mi stava aspettando per sbrigare le pratiche di ricovero e fare quattro chiacchiere.

Una volta terminato l’incontro, ho detto a Gioia e Bruno, piuttosto stanchi a dire il vero, che era meglio se a quel punto se ne fossero andati a casa, riportando con loro Leo e Jacopo; io sarei rimasto ancora un po’.
Leo le ha dato un bacio sulla guancia, così come Jacopo un istante dopo.
Ma Sabrina si era già assopita, di quel sonno innaturale,  e il piccolo mi ha dato l’impressione di esserci rimasto male che non lo abbia sentito mentre lui le poggiava le labbra sulla guancia.
Eh, si è addormentata, Jacopo, era un po’ stanca mamma… ma ti ha sentito lo stesso

Sono rimasto qui seduto davanti al Mac, mentre lei ancora dormiva, per finire delle cose di lavoro lasciate in sospeso nel pomeriggio; è arrivata la sera e poi la notte, si sono alternati i turni degli infermieri, che all’ingresso in camera si sono presentati, per verificare il suo stato e per accertarsi se avessi bisogno di qualcosa, un cuscino, una coperta…

Ho preso un boccata d’aria dalla porta finestra sul giardino, il morso di una zanzara su un braccio e ora mi metto in poltrona.
A domani