fotoL’AUSL ha mandato a ritirare tutti i presidi di cui ci avevano attrezzato negli ultimi due anni, il letto elettrico, le due carrozzine, una elettrica e una no, lo standing e altro ancora.

Si è liberato tanto spazio in un appartamento che non è grande e che in questo tempo si era riempito di attrezzature che aiutavano a rendere molto meno complesse le poche attività che Sabrina era ancora in grado di fare.
Se parlo a voce alta mi sembra quasi si sentire l’eco. È un’esagerazione, lo so, ma la sensazione è un po’ quella di un appartamento che sta per essere sgombrato prima di un trasloco.

In camera non c’è più il letto elettrico a una piazza, al quale avevo dovuto affiancare il mio, singolo, preso una volta tolto il matrimoniale.
Lo portai in cantina, rete e materasso, e adesso, prima o poi, dovrò riassestare tutto, ma non ne ho ancora voglia; non voglio aver fretta di ristabilire una parvenza di normalità che è tutto fuorché normalità. Alla fine, oltre a tutto il resto, che fanno male sono anche queste piccole cose, questo continuo tagliare sottilissimi fili, che prima o poi terminerà, ma finché durerà sarà ogni volta come una piccola amputazione, una ferita che avrà bisogno di tempo per rimarginare e una volta compiuto il suo decorso, avrà una superficie cutanea che non sarà più la stessa di prima.

Ho parlato con la psicologa di quanto è ridicola l’espressione “rifarsi una vita”, più adatta per esempio, se vogliamo, a chi sia stato carcerato e una volta pagato il suo debito con la società intenda davvero ricominciare da capo lungo un altro percorso di vita, una vita diversa che è tutta da inventare, da rifarsi appunto. Io non ho nulla da rifarmi, cambiare tutto per non cambiare niente, eh! Oppure cambiare, ma farlo così lentamente che non ci si accorge quasi della differenza, ne conosco di esempi…anche no, grazie; tutto quello che è stato ha contribuito nel bene e nel male a modellarmi per quello che sono adesso, che forse non sarà lo stesso di domani o fra cinque anni, ma questo sono, in seguito a tutto ciò che ho vissuto pubblicamente con gli amici e le conoscenze e nella famiglia, prima quella dei miei genitori e dopo quella creata con Sabrina; sono parti indissolubili da ciò che sono oggi, rappresentano il vissuto di quest’uomo, tutto qui.

Spazzo il pavimento di camera, in quello spazio che adesso mi sembra una piazza d’armi. Trascino il letto a una piazza nel centro e rimane tutto così vuoto di qua e di là che un po’ di tristezza mi sale su, accidenti…
Avevo pensato di lasciare che qualcun altro si occupasse di tutte queste incombenze domestiche, ma poi ho pensato che dovevo essere io a farlo, volevo essere io ad occuparmene, con calma, prendendomi tutto il tempo che mi servirà.
Come per i vestiti di Sabrina, che per adesso resteranno lì dove sono, non mi serve dello spazio in più e non sarebbe un motivo sufficientemente valido per pensare di toglierli dall’armadio. È una faccenda della quale voglio occuparmi io, il vissuto che dicevo prima, maglia per maglia, giacca per giacca, felpe, jeans, gonne, maglioni, camicette, i guanti di lana, i cappelli di paglia… ogni capo con delle storie che mi legano a loro, storie che hanno finito con l’intrecciarsi tra ordito e trama, perché dovrei lasciare che a farlo fosse qualcun altro? Sono cose che si affrontano e va fatto per non lasciare nulla interrotto, niente in sospeso.
I fili, se sono da tagliare, li taglio io.