Stare un po’ lontano mi fa bene, mi serve. Anche pochi giorni, m’invento un pretesto per posticipare il ritorno, invece di partire subito.

È come se avessi un cassetto di cui sono il solo a possederne la chiave, no anzi, meglio, è come avere una stanza tutta per se, ma in un altro luogo, abbastanza vicino da arrivarci in poco tempo, sufficientemente lontano da non poter fare avanti e indietro costantemente.

Ritornare in questo altro mondo, a Bologna a casa, all’inizio mi ha un po’ spiazzato, più delle altre due volte in cui sono ritornato, dopo periodi ogni volta lunghi poco più di un mese. L’ultimo di questi ritorni il 13 settembre.

Ho fatto scivolare la chiave nella serratura e quasi meravigliato ho scoperto che gira agevolmente e la porta si apre, non come se nel frattempo qualcuno avesse cambiato la serratura, cosa che avrei quasi trovato normale se fosse accaduto. Il corridoio d’ingresso è come lo ricordo, le mensole con i libri, le foto appese, la luce che arriva dal soggiorno, l’odore di casa. Ma c’è qualcosa che non riconosco…

Ciao! C’è nessuno?

Babbo, ciao” mi viene incontro Jacopo col suo metro e novanta e l’immancabile felpa; lo abbraccio e io, che piccolo non sono, lo trovo grandissimo e m’immagino come quell’abbraccio lo possa sentire una ragazza tra quelle braccia lunghe che mi girano tutte intorno al busto.

Come stai, il viaggio bene?

Si grazie, tutto bene. Madonna come sei grande, ma eri così anche l’altra volta?

No… è successo tutto stanotte…

Padre!” dalla camera arriva Leonardo, con l’immancabile espressione che sfotte il mondo, ci abbracciamo.

Ho tanta roba in macchina mi date una mano per scaricare?

In ascensore in tre, un piccolo ascensore, in mezzo a quei due mi sento ancora più piccolo di un attimo fa e se continua così mi riporteranno su tenendomi in braccio. Si caricano con lo zaino, valigia e le borse della spesa continuando a scherzare tra di loro e con me. Risaliamo. Tra loro due e i bagagli, io sempre più piccolo…

Appeso al frigo un A4 con una tabella intitolate SBATTICASA lo schema settimanale dei lavori da spicciare, pulizia cucina, bagno, sala, camere… di fianco la lista della spesa, pane, latte, aglio, patate, stracchino, detersivo lavatrice… il frigo deserto o quasi, sapevano che sarei arrivato e hanno dato fondo alla cambusa, confidando nella spesa che mi sono portato dietro.

Li ho guardati a lungo, cercando di non farlo notare, mentre si muovevano in cucina per riporre la spesa, come si muovevano, la confidenza nel mettere ogni cosa al suo posto senza la necessità di dover chiedere dove vada messo, una costante fino a maggio, con quel molleggiarsi sulle gambe che forse gli deriva dalla musica che ascoltano, dal basket, dal quartiere Mazzini o chissà da dove.

Leonardo parla un po’ del suo lavoro (e questo richiederà un capitolo a parte che prometto di trattare prestissimo) Jacopo della didattica a distanza e della scuola che, incredibilmente, gli manca.

L’ho quasi spiato mentre dall’altra parte del divano si messaggiava con gli amici l’uno, e mentre nel pomeriggio si è addormentato sul letto l’altro, non gli avrei staccato gli occhi di dosso a nessuno dei due. E ho capito cos’era quella che non avevo riconosciuto appena entrato in casa stamattina.

Quello che non avevo riconosciuto ero io, il padre di quei due ragazzi, perché in quel momento, appena messo piede in casa, era come fossero diventati loro i miei genitori ed io, quello cui andavano incontro ad abbracciare, fossi il figlio, tornato a casa loro trascorsi chissà quanti anni, invece che soli tre mesi.

Sbaglio lo so, è come crearsi un alibi, una falsa reputazione da giovane per sempre, anzi gggiovane con tre g; come fermare le lancette, riportarle indietro e farle ripartire a vent’anni, sulla soglia di casa dei miei, con in mano le chiavi di una casa non mia, oggi come allora ancora una volta tornato ad essere ospite, di una casa, di una città, di una vita e di un’altra ancora…

Ai primi di maggio, quando sono ritornato in Toscana, quella che tra le altre cose mi sforzavo di voler vedere come un’opportunità anche per i ragazzi, lo è diventata a tutti gli effetti; un’occasione per misurarsi con la quotidianità fatta, oltre che dei loro soliti impegni, anche della gestione di una casa con tutto ciò che questo comporta e se domani o tra tre mesi, quando forse tutto sarà più chiaro nel percorso di questo anno così particolare, dovessi tornare qui, Leonardo e Jacopo ci perderebbero qualcosa.

Mamma si è sposata a 22 anni e il giorno dopo, che non aveva un lavoro e studiava ancora, iniziò a  gestire casa e lo faceva bene…”.

Ventidue anni, quasi a metà strada tra voi due e ci riuscirete bene anche voi.