
“L’ho messa in lavatrice, è asciutta ma è da stirare, così con si può proprio vedere” mostro la camicia appesa alla gruccia, fresca e profumata, ma tutta stazzonata.
“No no va benissimo così, perfetta”
“…”
“Tanto non si vede quasi, babbo: abbiamo il maglioncino, la cravatta la giacca, la giacca a vento, figurati. Benissimo così”
“Peccato, mi sarebbe piaciuto vederti stirare, sarà per un’altra volta…”
Era cominciato tutto con un annuncio
“Babbo giovedì vado a fare un colloquio di lavoro”
“Ah dai, bene. Di che si tratta?”
“Si chiama CIF”
A cosa avreste pensato voi? Al CIF Ammoniacal, il detersivo specifico per sanitari di metà anni ’80, così come ho pensato io. Qualche filiale produttiva a Bologna? Un ruolo da promoter in qualche centro commerciale per vendere detergenti? Vista la mia espressione interrogativa, Leonardo mi è prontamente corso in aiuto
“CIF è il Consorzio Imprese Funebri”
“…cioè? Mi vai a fare il becchino?”
“Boh non lo so, cioè: ho risposto a questo annuncio e dopo domani vediamo.”
Per il Consorzio Imprese Funebri ricordo che per lavoro organizzammo la celebrazione del loro 50esimo anniversario, un evento con cena di gala, all’interno del magazzino svuotato quasi completamente da tutti i materiali. Nel corso della serata, a un certo punto partiva la musica e dalle bare rimaste saltavano fuori sei ballerini che mettevano in scena una coreografia al ritmo di “Thriller” di Michael Jackson.
“E che requisiti sono richiesti”
“Mah, niente di particolare, nessun tatuaggio…”
“Ecco…”
“Vabbè ma non ne ho nessuno di visibile, mi tolgo il piercing, mi faccio la barba e via”
Qualche giorno di attesa dopo il colloquio, di cui Leo non sapeva dire con certezza se fosse andato bene oppure no; diciamo una cosa ordinaria: chi sei, cosa hai fatto, dove vivi… un documento da riempire per la partecipazione a un corso di formazione di una giornata, al termine della quale si sarebbe saputo di più. Così va a questo corso e quando torna dice “Beh, mi hanno preso”
“In che senso, cioè?…”
“Oh babbo che vorrà dire, che mi hanno preso. È un lavoro a chiamata pagato a ore, ci danno loro gli abiti, dovrò andare a farmi prendere le misure…”
“…che detto in ambito funerario non è il massimo.”
“Ahahahah in effetti. Poi le scarpe, camicia, cravatta e via. Ah già! Le camicie dobbiamo lavarle da noi”
“Giura che mi fai vedere la faccia che fanno i tuoi amici quando glielo racconti“
Così Leonardo è entrato nel mondo del necroforato. Jacopo ha commentato al telefono con me:
“Non si può dire che sia un lavoro bello. Cioè, né bello né brutto. È un lavoro… particolare, una di quelle esperienze che fra qualche anno puoi raccontare proprio per quanto è particolare.” e in effetti questa cosa l’ho pensata così anch’io.
“E poi, non è bello da dire, però… in questo periodo magari riesce a fare anche tante ore. Insomma è lavoro“
Non avendo direttamente contatto con le salme, in quando lui e gli altri addetti a questa mansione si occupano solo di trasportare la bara dall’abitazione o dall’obitorio al carro funebre e da lì in chiesa o verso la tumulazione, mi preoccupava semmai l’aspetto psicologico, i momenti in cui i parenti del defunto si trovano a vivere il dolore della perdita e tu sei lì con loro.
“Ma guarda che siamo molto distaccati, ora banalizzo, ma è come portare una cassa qualsiasi, non abbiamo un contatto diretto con i familiari, se ne occupa il responsabile del funerale. Noi facciamo quelle due o tre cose, poi ci allontaniamo un attimo per esempio durante la messa, quattro chiacchiere, una paglia… ci sono tanti tempi morti…”
“Tempi morti mi sembra decisamente in tema”
“Ahahahah già…“