Il ponte sul fiume Kwai” è un film del 1957 in cui si narra della costruzione di un ponte, realizzato dai prigionieri di un campo di prigionia Giapponese.

L’ufficiale responsabile dei prigionieri, d’accordo con i suoi uomini, accetta di proseguire la costruzione di questo ponte, per far fronte all’evidente incapacità da parte dei giapponesi di procedere con il lavoro e per sottrarsi così alle angherie praticate dai carcerieri ai danni dei commilitoni: salvaguardarne le condizioni fisiche perché impegnati alla costruzione.

I lavori procedono spediti fino ad arrivare alla conclusione dell’opera, momento in cui un commando alleato, che di notte ha minato il ponte, vede scoperto il proprio piano dall’ufficiale che ha guidato i prigionieri nella costruzione, ufficiale che incredibilmente da l’allarme ai giapponesi.

Conflitto a fuoco, feriti, morti, esplosioni… l’ufficiale si rende conto di cosa ha causato e, nonostante ferito dall’esplosione di un proiettile di mortaio, si getta sul detonatore facendo saltare in aria l’opera…

Sono appena tornato dal Lago dell’Accesa, dove ho dato un’occhiata al ponte in via di costruzione tra le due sponde del torrente Bruna, in sostituzione di una passerella presente nello stesso punto anni fa e poi smantellata data la precarietà.

Io non sono un ingegnere e neppure un architetto, e qui potrebbero serenamente terminare queste righe, proprio come dopo la premessa “io non sono un virologo” parlando della pandemia, o “io non sono un esperto di politica internazionale” riferendoci alla guerra della Russia contro l’Ucraina.

Tuttavia, proprio perché la circostanza non riguarda una questione di vita o di morte, mi prendo il rischio di fare qualche considerazione.

Per la realizzazione di un ponte, immagino occorra essere a conoscenza di alcuni dati fondamentali quali:

  • la distanza tra le due sponde, circa tre metri in questo caso;
  • la natura del terreno su cui poggia, per esempio roccia invece di un terreno argilloso
  • la tipologia di passaggio e la frequenza che deve essere sostenuta, pedoni, bici, auto, ecc.
  • il materiale in cui realizzarlo, legno, metallo, cemento, ecc.
  • il budget a disposizione

e sicuramente molte altre che ho dimenticata o non conosco affatto. A monte di tutto questo ci sono ovviamente le norme di sicurezze imposte di legge, che però immagino siano già implicite nei progetti di qualunque fornitore.

Nelle immediate vicinanze dei lavori nessun cartello, come invece è obbligatorio per legge, descrive la tipologia dell’intervento, il committente, la ditta incaricata della realizzazione, il responsabile della sicurezza, l’azienda che ha fabbricato la struttura, inizio e fine lavori, l’importo complessivo dell’opera… niente di niente. E ci sarebbe qualcosa da dire anche sulla tipologia di delimitazione dell’area di lavoro, chiusa con una rete da cantiere rabberciata e fissata con delle fascette alla struttura stessa.

Il ponte installato non è né bello né brutto, è sovradimensionato, specialmente in altezza, con il piano di calpestio a 140 centimetri dal terreno sottostante; poi aggiungiamo una balaustra di altri 90, 100 centimetri e abbiamo una struttura alta quasi due metri e mezzo, per circa cinque di lunghezza, per superare un torrente largo poco più di tre metri e profondo si e no 60, 70 centimetri.

Risulta una struttura sproporzionata che, al di là del legno con cui è costruito, ha un impatto decisamente fuori luogo, e aggiungo che poi se ne potrebbe parlare se il legno, quel tipo di legno, è la cosa già adatta a quel luogo.

Le sue dimensioni sproporzionate renderanno di non semplice attuazione anche terminarlo con due rampe, in quanto l’inclinazione di legge per il superamento di un ostacolo tramite una rampa è dell’8%. Con un rapido calcolo, per raggiungere l’altezza di 140 cm, quella del piano di calpestio del ponte, occorrerebbe una rampa lunga 17 metri, oppure dividere la misura necessaria in più rampe, per dire eh… e questo scartando l’ipotesi che abbiano malauguratamente deciso di metterci dei gradini.

Lo scrivo in grassetto così si vede meglio: mi rifiuto di pensare che non ci fosse una soluzione migliore, meno invasiva, probabilmente più economica, nel rispetto delle norme di sicurezza e tale da garantire l’accessibilità a chiunque.

Non è ancora terminato ma niente lascia presagire che le ultime fasi dei lavori possano in qualche modo mitigare il risultato che già si prospetta.

Chi ha deciso dovesse essere quella la struttura? Quali sono le considerazioni a monte della scelta fatta?

Nessuno pretende che il responsabile, rendendosi conto del risultato dell’operasi, si getti sul detonatore, ma che almeno vengano fornite delle informazioni ufficiali per capire, questo si, è lecito pretenderlo come è doveroso dare delle risposte.